Tutti i lavori che noi, poeti, artisti scrittori sia pure dilettanti, andiamo producendo e che mettiamo in vetrina chiedendo consensi e giudizi, cos’altro sono se non un bisogno d’affetto, comprensione, amicizia? L’uomo è un animale sociale, non può vivere da solo e tanto più progredisce la sua tecnologia, tanto più necessita del suo simile per far funzionare la complessa macchina sociale atta ad appagare i suoi bisogni primari. Ma ancora non gli basta se, per soddisfare quel bisogno di affetto e spiritualità che lo caratterizza e distingue, ha bisogno di musica, ha bisogno di poesia, ha bisogno d’amore! L’uomo si suole definire come “l’animale che sa di dover morire” e in questa frase è concentrato un coacervo di emozioni, aneliti, brame, affanni e desideri che fanno di noi quella meravigliosa creatura che ha fatto della ricerca di sé e della sua propria essenza, lo scopo principale della sua Vita. Progrediamo, ci evolviamo, ci trasformiamo così lentamente che non ce ne accorgiamo nemmeno, e mentre i nostri canini affondano sempre di meno nei loro alveoli e il coccige riduce ulteriormente i suoi residui di coda, gli emisferi cerebrali crescono ancora di più e le idee si sommano alle idee, condizionando inconsapevolmente i nostri geni, i nostri cromosomi e tutto cambia, tutto si trasforma in un gioco senza fine, apparentemente senza scopo ed in tempi che forse la nostra mente dilata all’infinito, mentre può darsi che avvengano in un attimo in questo gioco spazio-temporale che pare essere solo un prodotto della nostra mente, una percezione sensoriale meramente illusoria (Einstein).
Ho fatto partire Debussy mentre vi scrivo e, cullato dalla sue dolci note, ripercorro le fasi della mia vita fin da quando ero bambino, e vado comparando la mia crescita temporale con quella di tutta l’umanità. E rivedo il vecchio Socrate porsi infiniti problemi e fermare i passanti e interrogarli e coinvolgerli nella sua paziente ricerca mentre Platone appunta le sue idee, le elabora, trascrivendole fino a noi, lui, Platone ed il suo “Iperuranio”, lo stampo primigenio di ogni manifestazione reale.
E Aristotele che risale alle cause studiandone gli effetti, lui che, gradualmente, percorrendo a ritroso il nostro iter evolutivo, cerca il “Primo Motore” la Causa prima che abbia innescato la vita, la girandola infinita che ci coinvolge e trascina.
Siamo già molto avanti, la “Scuola d’Atene” mirabilmente espressa dal celebre affresco di Raffaello ci mostra già cervelli sopraffini che si disputano il sapere, che ipotizzano, valutano, elaborano, compongono, sviluppano nuove idee nella grande fucina delle loro menti e partoriscono il “Sapere” e lo tramandano fino a noi in un crogiolo infinito di contraddizioni, correzioni, smentite e rielaborazione mentre spuntano i dogmi, incredibili assiomi a frenare la corsa, a rallentare il passo.
Siamo già lontani dal mondo delle baccanti, dalle orgiastiche danze di donne vestite di animali, dai misteri eleusini, dai canti orfici che inducevano all’ubriachezza, all’estasi, momento saliente della nostra crescita culturale quando il demone (il Dio,l’anima) s’impossessava del nostro corpo, manifestazione primaria di un concetto astratto di spiritualità soffusa. Quando Socrate ribalterà il concetto e non nell’estasi ma nella “prudenza” avvertirà l’anelito divino, già si porranno le fondamenta di rigidi schemi che vogliono anima e corpo contrapposti, rigidamente fermi nelle regole inamovibili che l’incalzante cristianesimo cementa e fossilizza in dogmi indiscutibili (pena l’arrosto immediato) per tutto il medioevo.
Si suole dire che Freud e Nietzsche abbiano per primi rimosso queste certezze, scardinato dalle fondamenta gli assiomi della civiltà occidentale. E forse è vero in parte se pensiamo che tutta la filosofia moderna, dal medioevo all’ottocento, si è basata sul concetto di “Io” così come nel cogito cartesiano o nell’Io penso kantiano o nello Spirito hegeliano. Ma prima dell’avvento di Freud che frantuma, come già avevano fatto Copernico in campo astronomico e Darwin in campo biologico, tutta la filosofia medioevale, già altri pensatori avevano avuto sentore, nei secoli precedenti, che le cose non fossero così semplici . Così il neoplatonico Plotino che aveva già colto (pensiamo al nous) diversi strati nella nostra coscienza. Così nel seicento Leibniz , che parla di “piccole percezioni”, di un “innatismo virtuale”che già configura la presenza di nozioni presenti in noi senza che se ne abbia piena coscienza. Ed anche Hume smonta in età illuministica l’idea stessa di sostanza quando si chiede che cosa rimane dell’uomo quando lo si svuoti delle sue percezioni sensoriali. E poi Schopenhauer che legge l’Io come espressione di Volontà ed arricchisce la nostra razionalità col mondo delle passioni, importante componente della nostra più intima essenza.
Niezsche in “Umano troppo umano” arriva ad ipotizzare che siano le idee a pensare noi e non viceversa e la sua teoria da tempo mi affascina ed intimorisce conoscendo il complesso chimismo che regola le nostre azioni profondamente modificate da droghe introdotte nel soma anche soltanto come medicamento.Freud ha il merito di aver ricucito tutti questi astratti convincimenti irrorandoli col sapere della scienza e la sua “scoperta” dell’inconscio, dell’istinto, di questa “trinità” laica, che porta l’Io a far da tramite fra i suoi bisogni inconsci e la coscienza acquisita con l’imprinting e l’apprendimento, sono oggetto di grande interesse anche nel mondo scientifico. La corsa verso la verità e la conoscenza non si fermerà certo con Freud che si è interessato anche dell’interpretazione dei sogni e del famoso complesso di Edipo già immortalato dai tragediografi greci, ma il suo principale merito è quello di aver rimosso le limitazioni del pensiero cartesiano. Dire “cogito ergo sum” limita le capacità umane alla semplice sfera dell’io cosciente mentre egli ha dimostrato che l’io è solo una piccola parte della “Psiche” che ci caratterizza, la punta di un iceberg sommerso che noi non avvertiamo ma che ci condiziona ed influenza. Freud era considerato, pur essendo vissuto in periodo positivista quando esisteva il primato della biologia, un antipositivista perché ancora non c’erano i metodi per esplorare i meccanismi chimici ed elettrici della nostra coscienza ma chi di voi avesse la pazienza di leggere “La donna che morì dal ridere” del noto neurochirurgo Ramachandran, vedrà che i “loci” che regolano le attività motorie del nostro organismo stanno per essere riconosciuti con estrema esattezza e sbalordirà per le grandi possibilità della nostra mente, regolata da complesse reazioni chimiche e microscariche elettriche, che attraversano i nostri dendriti in uno scambio continuo tra reazioni chimiche ed elettromagnetismo. Ho pensato a tutto questo mentre osservavo per l’ennesima volta sbalordito e ammirato, la grande opera di Raffaello, una dimostrazione di grande maestria, un omaggio doveroso ai grandi pensatori dell’antichità, raffigurati nella celeberrima “Scuola d’Atene” che vi propongo di osservare ancora con grande attenzione.