«Cominciamo col chiamare le cose col loro nome, per favore. Quella in corso è una crisi, non un’emergenza educativa. Una crisi nella, non della, educazione», naturale conseguenza di una più vasta crisi mondiale, legata all’analfabetismo di ritorno. «L’analfabeta di ritorno – spiega De Michele – è chi, nel corso della propria vita, perde progressivamente quelle conoscenze che aveva acquisito a scuola senza acquisirne di nuove» e di questa categoria fanno parte un terzo degli italiani. Terribile, inoltre, che il destino dell’istruzione sia ancora rimasto legato all’eredità familiare, avere il papà laureato «è una sorta di polizza assicurativa».
Ma qual è uno dei problemi fondamentali della scuola? Il bilancio, ovviamente, e quello dell’istruzione è gravissimo, considerando che è stato decurtato di circa otto miliardi di euro in tre anni. Nonostante ciò, la Finanziaria del 2010 assegna 540,1 milioni di euro alle scuole private, che lo Stato ha così trasformato in «scuole pubbliche private», contravvenendo all’art. 33, comma 3 della Costituzione che stabilisce che scuole e istituti privati devono essere istituiti senza onere per lo Stato. Se a ciò si aggiungono le ingenti spese militari per mantenere in vita un esercito elefantiaco, in un paese la cui Costituzione «ripudia la guerra», probabilmente non si riuscirà mai a provvedere all’assunzione di 40.000 precari, «l’anello di congiunzione tra il lavoratore salariato e l’extracomunitario pagato in nero».
Altri stereotipi da cancellare sono, per esempio, quelli legati agli alunni somari e violenti e ai troppi bidelli e De Michele lo fa con una dovizia di analisi statistiche, tra cui i rapporti OCSE, che confutano le parole della Gelmini che si chiede: «che paese è quello in cui ci sono più bidelli che carabinieri?», ma dimentica che 167.000 “bidelli”, ridotti di 15.500 unità per i tagli di bilancio, comprendono il mare magnum di tutti quelli che lavorano nella scuola eccetto gli insegnanti.
Sono pagine su cui riflettere a lungo, soprattutto quelle finali, in cui De Michele, partendo da una domanda di Giuseppe Caliceti: «Nessuno si accorge che stiamo arrivando a larghe falcate alla fascistizzazione della Scuola?», propone un elenco di dieci tratti caratteristici del fascismo pedagogico tra cui funzione selettiva, autoritarismo, semplificazione, nozionismo, gerarchizzazione, naturalizzazione della distinzione tra «fare» e «sapere», insegnamento della religione cattolica.
Al lettore il compito di trovare le somiglianze.