Se volessimo sintetizzare i risultati del Report di Monitoraggio del Progetto "Lavagne" del MIUR per l'anno 2009-2010 potremmo rifarci al classico: “Niente di nuovo sotto il sole...”. Cosa intendo dire? Intendo dire che alcune linee di tendenza – che con la mia équipe di ricerca del CREMIT ho potuto verificare nel corso degli anni (almeno fino a quando mi è stata rinnovata la fiducia in funzione di questo compito che ora è stato affidato ad altri probabilmente più qualificati) – sembrano essersi consolidate.
Ne individuo almeno tre che mi paiono interessanti.
1. La prima è di tipo anagrafico. Siamo un Paese in cui si entra in ruolo nella scuola mediamente a 42 anni e mezzo e in cui la fascia di coloro che hanno superato i 46 anni è percentualmente quella che è maggiormente presente nelle scuole (70%). Occorre tenerlo presente nel leggere i dati relativi a progetti che, come “Lavagne”, provano a spingere l'innovazione: un precariato logorante alle spalle e il fatto che gli anni più produttivi (i trenta) siano alle spalle non agevola di sicuro la disposizione al cambiamento, non motiva alla fatica del fare innovazione. Certo la saggezza che proviene dall'esperienza dovrebbe bilanciare... ma non è aritmetico.
2. La seconda è di tipo tecnologico. Il nostro report restituisce alcuni dati interessanti a questo riguardo. La disponibilità della connessione a Internet continua ad essere percentualmente bassissima nelle scuole del Regno: solo nel 7% delle classi internet è presente. Si tratta di un dato significativo, perché dice di un ritardo rispetto alla comprensione dell'evoluzione recente delle tecnologie, sempre più basate sul web e sempre meno identificabili con hardware e software ingombranti. Oltre a questo si continua a registrare, percentualmente, la maggior presenza di connessione nel laboratorio di informatica e nei locali della direzione scolastica e della direzione dei servizi amministrativi. La “geografia” in questo caso è interessante e denota una rappresentazione della tecnologia che continua a essere in larga parte riconducibile alla sua funzionalità extra-didattica (i luoghi del "potere") o, nel caso di un utilizzo didattico, viene in larga parte ancora pensata non come “ingrediente” ordinario della didattica in classe, ma come attività “speciale” (tanto è vero che continua ad essere ospitata nella maggior parte dei casi in laboratorio o in un'aula dedicata, come dimostra il 23% dei casi delle scuole che continuano a posizionare la tecnologia in locali ad hoc).
3. La terza costante è di tipo sociale. Ancora una volta il Report restituisce percentuali di soddisfazione molto incoraggianti, sia per la formazione ottenuta che per la qualità dei tutor. Anche in questo caso si tratta di una tendenza definitasi lungo gli anni, incoraggiante per ANSAS e gratificante per i tutor ma che si potrebbe anche provare a interpretare. Ad esempio ci si potrebbe chiedere quanto pesi l'oggettiva qualità della proposta e quanto, ad esempio, il semplice bisogno di formazione o l'esigenza di qualificarsi nella speranza dell'apririsi di qualche spazio di carriera da parte di insegnanti che, come il Report restituisce, non sono specialisti di tecnologia e che nella maggior parte dei casi si avvicinavano per la prima volta a una LIM.
A questi elementi si possono aggiungere almeno due considerazioni sul versante squisitamente didattico, in particolare rispettivamente all'uso didattico della LIM e alla sua rappresentazione.
In primo luogo, se si riflette sui dati relativi alla rappresentazione della LIM, emerge come la maggior parte degli insegnanti la valuti positivamente in relazione a due funzioni: il fatto che si presume faciliti la comunicazione e che risulti accattivante per gli allievi. Il dato va letto. Qui gli insegnanti più che provare a cogliere due “leve” della LIM, mi pare che proiettivamente ripongano in essa la loro speranza di poter confezionare una didattica maggiormente efficace: in buona sostanza più che di caratteristiche della LIM stiamo parlando di due aspettative diffuse degli insegnanti da ricondurre alle loro principali difficoltà. Tali difficoltà sono indubbiamente da cercare nella comunicazione con i ragazzi (sono così diversi, così lontani, da come eravamo noi... noi “immigranti” e loro “nativi” - su questo cfr. i miei ultimi post) e nella motivazione: la tecnologia come attrazione, come focus di una nuova curiosità, come ingrediente per rendere interessante la scuola.
In seconda istanza, balza all'occhio il dato relativo all'uso della LIM, anche in questo caso nella grande maggioranza dei casi consegnato ad attività frontali e di rappresentazione della conoscenza. La LIM come appunto una lavagna. Seguendo la bella metafora coniata qualche anno fa da Giovanni Biondi, se si trattava di portare il cavallo di Troia (la LIM) dentro le mura della città assediata (la scuola), adesso che è entrato occorre trovare il modo di far uscire i guerrieri dalla pancia del cavallo! In caso contrario, come sempre nell'impiego delle tecnologie, le pratiche (vecchie) prevarranno sull'impatto (innovativo) della tecnologia.
La registrazione di questa doppia osservazione implicherebbe che, accanto al processo di introduzione di tecnologia nelle scuole e di training tecnico-didattico degli insegnanti, ci si interrogasse attentamente su come pilotare l'innovazione a livello di sistema tenendo presente che, come questo Report evidenzia, nel 40% dei casi, essa è lasciata all'iniziativa di singoli docenti, particolarmente esperti e/o motivati.