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"la scuola non serve a niente", dispersi nel rinuncianesimo...

Creato il 08 dicembre 2015 da Alessandro @AleTrasforini

Su quali ' mattoni' possono essere costruite o plasmate sia la coscienza collettiva che la necessità di miglioramento e consapevolezza di un intero Paese?
Le possibili soluzioni a questa domanda sono pressoché infinite: informazione adeguata ed approfondita, divulgazione e necessaria conoscenza delle complessità che regolano un sistema complesso come quello attuale, possibilità di esplorare a fondo la società nelle sue varie ' sfaccettature', [...]. Sono molte le opportunità di vita e conoscenza che una persona può avere a disposizione, nel corso di una singola esistenza.
Le occasioni per conoscere ed esplorare dovrebbero poi essere fornite da un sistema adeguatamente fertile e propenso ad incentivare cambiamento e speranza. Condizionale obbligatorio, per una lunghissima serie di ragioni che si scontrano ( purtroppo) con la realtà di certe vicende nostrane.
Uno dei mattoni principali su cui poter costruire una coscienza all'altezza e consapevole di poter interpretare il domani nella maniera più giusta ( o meno imperfetta) possibile è, non a caso, quello costituito dalla scuola e dall'istruzione.
Il sistema scolastico dovrebbe ( pro)porsi l'obiettivo di garantire sia lo sviluppo che l'equa presa di consapevolezza da parte dell'essere umano, proprio perché risulta ormai prioritario ( o quantomeno sempre più urgente) adoperarsi nel mondo per cercare di smontarlo e semplificarlo progressivamente.
Semplificare il mondo può significare, in chiave forse un po' impropria, addestrare la propria coscienza ad avere la giusta conoscenza per definirne prima e demolirne poi le varie complessità esistenti. Frequentare, adoperarsi e focalizzarsi sulla necessità di vivere a fondo il sistema scolastico per ( avere qualche possibilità in più di) scardinare le difficoltà su cui questo mondo è stato da tempo costruito. Per fare tutto questo, però, servirebbe un altro ingrediente primario oltre a quello costituito dalla commistione fra ambizione e sete di conoscenza/divulgazione di studenti ed insegnanti: un sistema scolastico all'altezza di definirsi tale.
Le modalità che potrebbero contribuire a definire una scuola all'altezza di una delle missioni più importanti da assolvere in chiave educativo-riabilitativa ( per la società intera) sono riassumibili, nel dettaglio, riferendosi ad una celebre massima attribuita ad Albert Einstein:

"[...] La scuola dovrebbe sempre tendere a sfornare giovani dalla personalità armonica, non degli specialisti. [...] Bisognerebbe sempre dare la priorità allo sviluppo di una capacità generale di pensiero e di giudizio indipendente, non all'acquisizione di una competenza specialistica. [...]"

Il poter costruire una citata ' personalità armonica' è un obiettivo imponente da raggiungere, a maggior ragione se contestualizzato adeguatamente in una società che sembra quasi derubricare la polifonia dell'anima a semplice rumore di fondo da dover ad ogni costo zittire o quantomeno silenziare. Le capacità di pensiero e giudizio indipendente dovrebbero essere poste davanti ad una serie di competenze specialistiche seguendo quali cardini e regolamenti?
Rispondere a questa domanda richiede una serie di ingredienti da combinare in maniera pressoché perfetta l'uno con l'altro: piani di studio versatili e funzionali, momenti di conoscenza delle realtà extra-scolastiche ed estranee alle sole competenze e conoscenze di studio, [...].
Si dovrebbe, pertanto, trasformare le attività di formazione in momenti di responsabilità e costruzione di una società migliore. Senza quindi farle diventare attività esclusivamente fini a loro stesse.
L'evidente impossibilità di rendere immediatamente realizzabile questo punto rende merito alla complessità della missione che il mondo della scuola dovrebbe avere di fronte, in un mondo ( reso) enormemente complesso come quello attuale.
Quali leve dovrebbe utilizzare un sistema scolastico per ( cercare/sperare di) rendere migliori le persone che ne costituiscono la ' base', ossia scolari e studenti?
Risposte univoche a questa domanda non sembra ne esistano, proprio perché infinite sono le risorse ed altrettanto interminabile sembra essere la lista dei problemi caratterizzanti questo sistema scolastico. E' tuttavia possibile assimilare informazioni su come una certa scuola potrebbe proporsi e costruirsi, leggendo ed attingendo da giuste fonti che sappiano dare esempi corretti sulle modalità per strutturare un sistema scolastico adeguato alle aspettative di uno Stato da ( ri)costruire completamente. Uno di questi riferimenti può essere costituito da una raccolta di opinioni, situazioni e pensieri pubblicata l'anno scorso dalla raccolta iLibra, promossa da La Repubblica e da Laterza Editori. Questa opera si intitola, in una maniera tanto ironica quanto complessa, " La scuola non serve a niente" ed è scritto da Andrea Bajani.
L'imperativo più grande da assolvere per sperare nel miglioramento del sistema scolastico afferisce alla necessità di migliorare in maniera consistente e critica alcuni dati di fatto ormai ( dati per) consolidati o non scalfibili:

"[...] Un ragazzo di quindici anni che non vuole più andare a scuola è un fallimento per tutti.
Dietro ci sono degli insegnanti, una famiglia e un Paese che lo lasciano andare. La scuola di oggi racconta un Paese scollato, che non riesce a tenere insieme insegnanti in crisi di legittimazione e ragazzi asserragliati nelle ultime file. E' il ritratto di un'Italia di solitudini raccolte dentro la stessa penisola. La scuola [...] è nata perché quelle solitudini venissero ricucite con un alfabeto uguale per tutti. Perché la scuola non serve a qualcosa, ma è necessaria per essere in grado di immaginare un Paese migliore. [...]"
Fonte: La scuola non serve a niente, A.Bajani, iLibra - La Repubblica & Laterza

Proporre scuola equivale quindi a ( cercare di) fornire tutti gli strumenti possibili per immaginare un Paese migliore. L'immaginazione di un'Italia diversa è un'attività che dovrebbe svilupparsi ed incanalarsi attraverso mille pieghe possibili: società migliore, ambiente tutelato, aspetti educativo-formativi prioritariamente da conseguire rispetto al puro assolvere di certi ' compitini' scolastici, conoscenza delle complessità burocratico-istituzionali di certi ambienti, sicurezza del lavoro e della sua sostenibilità esistenziale, [...].
Sono quindi molt( issim)e le armi che una società può utilizzare per cercare di combattere quelle solitudini caratteristiche di un sistema scolastico incapace di fornire strumenti e conoscenze per immaginare un Paese migliore. O quantomeno diverso rispetto a quello attuale.
Il primo strumento per costruire un'Italia diversa risiede, in termini concreti, nella necessità di sviluppare una conoscenza che sappia rendere critica una coscienza.
L'essere fonte di critica dovrebbe equivalere, infatti, ad una importante serie di fatti e di vicende: mettere costantemente in discussione certi luoghi comuni, non piegarsi ad opportunità o favoritismi che siano finalizzati al mettere in ombra merito e competenze, evitare l'uso di retorica e stereotipi per combattere la complessità dell'esistente, non accontentarsi della torbida luce di certe situazioni rifiutando al contempo di imboccare strade a tinte esclusivamente complottiste, [...].
Alla luce di alcuni punti promossi nel precedente elenco, pertanto, l'essere fonte critica rischia di essere una missione terribilmente e doppiamente complessa da realizzare.
L'opportunità di costruire una fonte di informazione critica potrebbe e dovrebbe quindi essere un'attività da costruire tenendo fermamente presenti quelle che sono le condizioni attuali di un sistema fortemente debilitato e destrutturato nelle sue potenzialità:

"[...] Questo libro racconta della scuola di oggi e di molte spalle girate, in quello che sembra un assurdo duello [...] in cui si rinuncia persino a mirare. Di una scuola piegata sotto l'ideologia del 'non serve a niente', di quella carie che è l'erosiva delegittimazione della classe insegnante, della fine di quel patto educativo con cui famiglie, insegnanti e Paese cercavano tutti insieme di vedere i figli un po' più felici di come lo erano loro. E delle picconate date ogni giorno alla scuola da interventi frutto di esigenze economiche e non di progetti pedagogici, che mirano a tamponare un'emergenza contabile prima ancora che a fronteggiare e bonificare un'emergenza sociale. [...]
Ma questo libro racconta anche di tutti quei tentativi che ogni giorno si fanno perché la scuola abbia a che fare con un Paese migliore. Racconta chi prova a lasciare l'angolo della rinuncia, perché sa che un ragazzo che gira le spalle è una sconfitta per tutti. [...]"
Fonte: La scuola non serve a niente, A.Bajani, iLibra - La Repubblica & Laterza
Costruire un sistema scolastico all'altezza potrebbe, quindi, focalizzare davvero un intero Paese verso la possibilità di progettare un futuro davvero migliore di certe attuali aspettative ed attese?
La risposta a questa domanda mai costituirà una certezza incrollabile, proprio perché alquanto elevati restano i margini di dubbio con cui dover far di conto. Nonostante tutto, però, risulta essenziale cercare di adoperarsi per cambiare qualcosa sin dalle fondamenta stesse della questione:

"[...] questo libro racconta anche [...] di tutti quelli che si rendono conto che gli occhi di un ragazzo che scopre qualcosa hanno la forza di rivoltare la terra dello sconforto in cui siamo conficcati da anni in Italia. Di chi ha il coraggio di dire, e pretendere politicamente, che la scuola non serva a qualcosa, ma sia piuttosto una terra da coltivare, di cui è urgente e necessario aver cura.
E di chi tra le cose che si possono fare di fronte a un ragazzo di quindici anni che volta la schiena, ne fa una semplice: prova a chiamarlo. [...]"
Fonte: La scuola non serve a niente, A.Bajani, iLibra - La Repubblica & Laterza
Proporre un sistema scolastico all'altezza di uno Stato da riprogettare dovrebbe essere un'attività da svolgere con estrema e chirurgica attenzione, cercando di andare oltre quel velo di perbenismo e finta tolleranza che ha ormai incrostato in fase simil-terminale questa Italia.
L'andare oltre certi schemi dovrebbe presupporre, più di tutto, come istanza primaria quella di valutare ed ascoltare quella fascia di popolazione che vive la scuola sulla propria pelle.
Ascoltare per davvero, però, senza incedere in semplificazioni di comodo e/o finta partecipazione.
L'obiettivo di questo percorso di progettazione del futuro è chiarito con parole ( di ascolto) inequivocabili sin dallo stesso autore dell'opera:

"[...] Il ritratto dell'Italia che hanno disegnato in questi anni i ragazzi con cui ho lavorato mi ha spesso sorpreso, a volte confermato in un'impressione fugace. In qualche caso mi ha immalinconito. [...]"
Fonte: La scuola non serve a niente, A.Bajani, iLibra - La Repubblica & Laterza
Lasciar quindi parlare o scrivere i ragazzi, privilegiando la strutturazione di un sistema scolastico che riesca a mettere in luce i propri punti deboli partendo dalla base dello stesso.
Il punto più importante di questa opera deve quindi persistere, quasi inevitabilmente, in una tanto incessante quanto non occasional-promozionale fase di ascolto:

"[...] Alle parole non si chiede più di far succedere il mondo ma di trasportarlo.
A sedici anni un ragazzo preferisce restare in silenzio, dire una parola in meno invece che una di troppo. [...] A scuola [...] le parole diventano solo traslocatori di cose lungo lo stremante piano inclinato del programma scolastico: sulla schiena delle parole si cercano solo rivoluzioni industriali, sonetti ed endecasillabi, [...]. I ragazzi le vedono passare e assistono al loro avvicendarsi da traghettatrici del tempo perso, da Caronti della morta vita.
Così chiedono ad altre parole di farli evadere, di aiutarli a scappare da casa: le rovesciano sul telefonino o sui monitor del computer come sos, le spingono fuori [...].
Per questo è fondamentale chiedere ai ragazzi di tornare a officiare quel rito di scelta e chiamata, far sentire la potenza e il rischio di togliere la sicura a un ordigno. E' fondamentale per loro ed è importante per noi, vedere quali saranno le cose del mondo che chiameranno e, di conseguenza, quale forma avrà il mondo che avranno nominato. [...]"
Fonte: La scuola non serve a niente, A.Bajani, iLibra - La Repubblica & Laterza
L'attitudine al descrivere e definire piani nei quali costruire un domani capace di far parlare i giovani dovrebbe costituire, pertanto, un fermo pilastro votato alla ricostruzione del sistema precedentemente definito come debilitato e svilito?
La risposta a questa domanda contribuisce forse a costruire, in prima istanza, quello spirito d'insieme racchiuso dalla citazione di Einstein attraverso le parole qualificate come " capacità di pensiero e di giudizio". Lasciar parlare gli stessi giovani, senza aver logicamente paura o timore alcuno dei risultati raggiungibili ed esprimibili. E' quindi con queste modalità che si potrebbe inaugurare quell'inevitabile attività di ascolto che il libro definisce come prioritaria e sostanziale:

"[...] da alcuni anni - in collaborazione con il Salone del Libro di Torino - metto intorno a un tavolo ragazzi dai quindici ai diciotto anni, di diversa provenienza sociale, e faccio tirare fuori loro parole dal cilindro come conigli. Mi piace capire che nome danno all'Italia che vedono sfilare in pixel distratti, o in carne e ossa in mezzo alla strada.
Mi sembra l'unico modo per provare a sentire - io - se il Paese in cui viviamo è lo stesso, e per far sentire a loro che una parola è un pugno di sabbia, e contiene dunque in sé l'infinito e la stretta: trattenere, perdere e colpire. In realtà ai ragazzi [...] chiedo uno sforzo aggiuntivo.
Chiedo di non accontentarsi delle parole che generosamente il vocabolario fornisce, della dotazione [...] di mezzi con cui dire la realtà. Li invito a trovarne altre, a inventare parole che nel vocabolario non hanno posto. Li istigo a cercarne di nuove [...]"
Fonte: La scuola non serve a niente, A.Bajani, iLibra - La Repubblica & Laterza

Far apprendere e discutere nel merito di una delle armi più grandi che l'essere umano abbia a disposizione, dopo il pensiero libero ed inarrestabile. Quello della parola, non a caso.
Pensiero e parola per pensare nuove parole adatte al contesto fortemente declinante di questa Italia.
Il peso delle parole dovrà quindi essere oggettivo ed oggettivamente inarrestabile, per una lunga serie di ragioni efficacemente sintetizzate da una celebre canzone:

"[...] Le mie parole sono sassi/ precisi aguzzi pronti da scagliare [...] sono nuvole sospese/ gonfie di sottintesi [...] sono lampi dentro a un pozzo, cupo e abbandonato [...] sono foglie cadute/ promesse dovute/ che il tempo ti perdoni per averle pronunciate [...] le parole che ho detto, oppure ho creduto di dire/ lo ammetto/ strette tra i denti [...] Le mie parole son capriole/ palle di neve al sole/ razzi incandescenti prima di scoppiare [...] sono andate a dormire sorprese da un dolore profondo/ che non mi riesce di spiegare/ fanno come gli pare/ si perdono al buio per poi ritornare. [...] Le parole che ho detto e chissà quante ancora devono venire [...] immaginate, sentite o sognate/ spade, fendenti/ al buio sospirate, perdonate/ da un palmo soffiate. [...]"
Fonte: Le mie parole, S.Bersani - Pacifico

( Ri)partire dal peso e dalla ( pre)potenza delle parole, quindi.
Poco importa se le stesse siano ribelli o svilite da un contesto asfissiante, l'importante è che esistano e siano anche freddamente meditate. L'autore dell'opera costruisce quindi una breve rassegna di freddi e taglienti neologismi provenienti dalla base di un sistema scolastico immerso in un sistema nazionale già prepotentemente debilitato:

"[...] Tra le parole inventate c'è stato il verbo Svivere, per indicare un'idea del quotidiano come qualcosa di [...] improntato più alla passività che alla vita attiva.
C'è stata la Monetica, che puntava il dito sull'unico valore e l'unica etica condivisi, ovvero il denaro. E poi ancora il termine Disonestar, che battezzava e sottilmente stigmatizzava l'attitudine tutta italiana a diventare celebrità grazie a [...] la sistematica violazione della legge, del decoro, della correttezza. [...] c'è stata la Demolitica, intesa come politica del distruggere, e la Ludovita, che raccontava un Paese più intento a giocare e a non prendersi sul serio che a metterci la faccia nel tentativo di costruire qualcosa di buono e duraturo.
L'Italia che i ragazzi hanno chiamato all'appello [...] è un'Italia azzoppata, dove il furbismo la faceva da padrone, la sfiducia teneva banco, fedele alleata di ogni alibi a non fare. [...]"
Fonte: La scuola non serve a niente, A.Bajani, iLibra - La Repubblica & Laterza
Sullo sfondo, fra tante parole ( pur)troppo eloquenti e significative, una parola capace di squarciare uno fra i molti veli di ipocrisia e meschinità esistenti:

"[...] la ragazza mi guardava, di nuovo con il braccio alzato, ed era evidente che la parola ce l'aveva già in testa da un pezzo. Ha preso fiato e ha detto: 'Propongo la parola Rinuncianesimo.' [...]
Mi erano venute in mente quelle famiglie in cui non si discute nemmeno più perché si è smesso di provarci, in cui ci sono queste cene in cui nessuno parla e c'è sempre quello che aspetta l'ultimo boccone per alzarsi e andare dritto in camera.
E mi era venuto in mente un articolo che avevo letto sul giornale pochi giorni prima e che parlava di tutte quelle persone [...] che non cercavano più lavoro perché avevano cercato troppo e si erano viste troppe volte sbattere la porta in faccia. [...] E, ancora, avevo pensato a quel momento in cui, correndo verso la fermata del bus, di colpo si smette di correre, si smette di credere che la si potrà raggiungere davvero. Perché c'è un momento in cui si rinuncia, in cui tutto il corpo alza bandiera bianca. E mi chiedevo [...] qual era il punto esatto in cui l'Italia aveva smesso di correre, in cui aveva lasciato andare le braccia lungo i fianchi e aveva permesso che le sue gambe si fermassero. [...]" Fonte: La scuola non serve a niente, A.Bajani, iLibra - La Repubblica & Laterza
Costruire scuola per combattere certi luoghi che sembrano essere tutto fuorché comuni, costruire scuola per ( sperare di) arginare una retrograda involuzione votata alla pietosa banalizzazione di questioni tragicamente pungenti. Costruire scuola per ( cercare di) salvare sguardi e speranze a ripetizione tradite, in un Paese che non ama avere sia un'ottica che un'etica del medio-lungo termine:

"[...] C'è uno sguardo che ha, chi si ferma [...]. Lo sguardo che abbiamo tutti quando rinunciamo.
Si smette di guardare avanti, verso il punto che cercavamo di raggiungere. E ci si guarda i piedi. Nient'altro. [...]" Fonte: La scuola non serve a niente, A.Bajani, iLibra - La Repubblica & Laterza

Combattere anche quel tremendamente cupo " nient'altro" pare poter costituire la missione prioritaria con la quale cercare di battersi, in questa Italia.
Nulla di più può essere detto o scritto sulle possibilità di riuscita.


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