Un’altra certezza è quanto affermato dall’arcivescovo Bruno Forte sul Corriere della Sera: «Secolarizzazione? In realtà siamo già in un’età post secolare. La secolarizzazione è lo sradicamento da una appartenenza comune. Sembrava rendere l’uomo più libero e in realtà lo ha lasciato più solo. Il grande problema, ora, è la solitudine. Una società sfilacciata, una folla di solitudini nella quale l’altro diventa lo straniero morale, la sfiducia verso il prossimo e il futuro. Non è un caso che si veda più al Nord, dove la secolarizzazione ha colpito prima». La secolarizzazione, indipendentemente che sia ancora in attività o sia già terminata, ha certamente fallito: l’uomo non è divenuto più libero, ma è soltanto divenuto più solo.
L’individualismo è ormai la caratteristica fondamentale della cultura americana, come descritto da questa recente indagine sociologica (che conferma studi precedenti). Come ha spiegato Giovanni Martinetti, «opere che negli ultimi decenni hanno avuto un impatto notevole in Occidente, come quelle di Frank J, Fromm, Cox, Marcuse, DeJumeau, Solgenitsin, Toffler, notano come oggi ci si imbatta sempre più spesso nell’insoddisfazione globale. La incontriamo nei quartieri eleganti e nelle case popolari, negli uffici, nelle fabbriche, nelle scuole, nei luoghi di divertimento. Non si tratta della depressione motivata da una grave disgrazia o da un pesante insuccesso, ma della noia di vivere, della delusione e demotivazione senza causa apparente».
Anche il premio Nobel Mario Vargas LLosa ha denunciato la frivolezza e la banalità della modernità, della cultura occidentale. Molte correnti sostengono per la maggioranza che la natura, l’uomo e la cultura siano autosufficienti, non abbiano bisogno di cercare il senso ultimo, non sono in movimento verso il significato. L’uomo sarebbe realizzato per il fatto stesso di esistere. Eppure i report medici presentano una situazione opposta: antidepressivi, alcool, droghe, psicofarmaci sono consumati in misura nettamente maggiore di ieri, sopratutto in Occidente. Si chiede Martinetti: «Da dove vengono allora tutte queste ansietà, fobie, nevrastenie, queste matasse ingarbugliate che gli psichiatri non riescono a sbrogliare, queste tensioni, inquietudini, esaurimenti, insonnie, nevrosi, angosce, disperazioni? E i suicidi? E la droga? C’è qualcosa di assai più grave della droga, che pure si diffonde in modo allarmante: è l’assenza assoluta di valori che la società consumistica offre ai giovani. Bisogna riconoscerlo: viviamo in un mondo deluso. Anche se il reddito è sempre più alto e il sesso sempre più libero, la gente abita case senza fondamenta, cammina su strade senza mèta, mangia cibi che non nutrono. Eseguono senza convinzione il ballo frenetico della vita in mezzo alla baraonda di impressioni inscenata dal perpetuo mutare delle cose». Lo aveva già riconosciuto lo scrittore francese Andre Malraux, quando diceva: «Il fondo dell’uomo è l’angoscia, la coscienza della propria fatalità, da cui nascono tutte le paure, anche quella della morte». Osservando i suoi concittadini non poté esimersi dall’osservare che «la morte dell’uomo ha seguito quella di Dio».
Per questo ritorna fondamentale quel che scrisse Pio XI, nell’enciclica “Quadragesimo anno” (1931), rispondendo a tutto questo: «se ai mali del mondo v’è un rimedio, questo non può essere altro che il ritorno alla vita e alle istituzioni cristiane, giacché questo solo può distogliere gli occhi affascinati degli uomini, del tutto immersi nelle cose effimere di questo mondo, e innalzarli al cielo; questo solo può portare efficace rimedio alla troppa sollecitudine per i beni caduchi ch’è l’origine di tutti i vizi; del quale rimedio chi può negare che la società umana non abbia al presente un sommo bisogno?».