«M-m-m-m-m-mad-mad-mad… madness», follia. È questo il nuovo tormentone con cui i Muse si faranno ricordare per l’uscita del loro sesto album, “The 2nd Law”, in Italia dal 2 ottobre. Folle è l’aggettivo più adatto per descrivere l’ultimo lavoro della band di Teignmouth: «Un’odissea gangsta rap jazz, con un po’ di dubstep in un ambiente ribelle con fusione in flamenco, cowboy e psichedelia», come scrive ironicamente Matt Bellamy sul suo account Twitter, per creare ansia e sorpresa in chi aspettava l’uscita di uno dei dischi più attesi del 2012. “The 2nd Law” è un affascinante viaggio sonoro che ci porta al centro del mondo, facendoci guardare dall’interno molte problematiche mondiali. «Si è rotto il giocattolo globale. Un sistema economico basato su una crescita esasperata senza fine non poteva che collassare», ha affermato in un’intervista Matt Bellamy, leader e frontman della band, proprio mentre veniva affidato loro l’inno delle Olimpiadi, primo estratto dall’album. Per il titolo del disco i Muse si sono affidati alla geofisica, per “seconda legge” infatti s’intende quel principio della termodinamica secondo cui l’energia contenuta in un sistema chiuso è destinata a disperdersi nell’ambiente circostante, proprio come quella dell’uomo odierno; legata alla seconda legge anche la copertina dell’album che rappresenta i circuiti di monitoraggio interni del cervello umano, ormai conosciuto come “il cavolfiore colorato”, ancora un elemento che ci fa capire che ascoltare questo album non sarà una passeggiata. A darci il benvenuto in questo mondo di collassi e decadenze è “Supremacy”, scritta inizialmente per fare da colonna sonora all’ultimo film di 007, sostituita poi da “Skyfall” di Adele. Nell’introduzione un chiaro richiamo al tema sempiterno di James Bond.
Un ottimo brano d’apertura, che prepara l’ascoltatore ad essere versatile per poter arrivare fino in fondo; evocativa la voce di Bellamy che sale vertiginosamente fino quasi a voler sfidare il suono della chitarra e delle sue note distorte. Il viaggio prosegue con “Madness” secondo singolo, dopo “Survival” inno ufficiale delle Olimpiadi, che più psichedelico non si può. Con il tormentoso attacco che ormai spopola nelle radio e nella testa di chi lo sente, si rende proprio l’idea del folle mondo che Bellamy e soci vogliono raccontarci e di cui non possiamo fare a meno, proprio come non si può far a meno di ripetere quel mad che rimane in testa e non va più via; geniale e piacevolissimo il riff di chitarra verso la fine dove l’aura dei Queen è palpabilissima. La terza tappa “Panic Station” ci porta insieme alla band in pieni anni ‘80, con una piacevole sonorità funky accompagnata da un basso suonato con la tecnica dello “slap” tipico proprio di quegli anni, che di certo i Muse si divertiranno a portare sui palcoscenici facendo ballare anche coloro che non lo fanno mai. Un “Prelude” introduce un’atmosfera quasi da battaglia, con un pianoforte che ricorda Chopin e fa da apripista alla maestosa “Survival”, che, nonostante il suo testo importante, non possiamo fare a meno di collocare tra i cerchi dei Giochi Olimpici. Il pezzo richiama ancora le sonorità di Freddie Mercury & co. riportando alla mente capolavori come “Bohemian Rhapsody” ed “Innuendo”.
Tappa successiva: la vita. Questo il messaggio che Bellamy vuole far passare introducendo il pezzo “Follow Me” con il battito cardiaco del figlio Bingham Bellamy. Un inno alla paternità che dopo la geniale introduzione predispone ad una traccia dolce con una melodia che avvolge totalmente i sensi ed un testo che resta appiccicato addosso, una delle tracce più riuscite del disco insomma. Con “Animals”, 7° pezzo dell’album, ci troviamo di fronte ad un altro dei brani più riusciti di questo lavoro, un ritorno ai vecchi Muse dove viene descritto l’uomo, in una visione del tutto animalesca; la canzone non fa altro che evocare le sensazioni più nude e crude che si provano nel vedere ciò che di scioccante l’essere umano riesce a fare al proprio mondo, alla propria natura ed al proprio essere. Con il suo ritmo incalzante in 5/4, e definito un tenero flamenco, “Animals” è probabilmente il pezzo che risulterà più difficile riprodurre dal vivo. Il brano, forse il meno sperimentale di un album particolarmente innovativo, riesce a proclamarsi perfettamente come “targato Muse”. Una prova perfetta per vivere a pieno il lato dei Muse maggiormente coinvolgente è “Explorers”, inizialmente col nome “Alien Explorers”, e per alieno Matt intende colui che si sente tale nel proprio mondo. Una ballata dalle sonorità dolci, da sembrare quasi una ninna nanna, ma dal testo estremamente crudo che mette faccia a faccia il desiderio di crescere, di espandersi con la sensazione di sentirsi estraneo ai propri luoghi.
Che i Muse amassero gli U2 non è mai stato un segreto, ma con “Big Freeze” hanno proprio palesato il tutto. Una traccia riempitiva, che non lascia nessun punto di domanda, dall’inizio alla fine, con un sound che anche stavolta ci riporta un po’ tra gli anni ‘80 e ‘90, ed a tratti sembra proprio il frutto di una collaborazione tra i due gruppi; se non di questa certo è che di sicuro trattasi di un omaggio al gruppo irlandese, come si può notare da una delle principali strofe del brano, dove è stato inserito non a caso il titolo di una delle pietre miliari degli U2, “Electrical Storm”. Termina qui l’assoluta dittatura di Bellamy come leader del gruppo, con le rivoluzionarie “Save Me” e “Liquid State” entrambe scritte e cantate dal bassista Chris Wolsthenholme. «Non mi aspettavo di cantarle quando ho presentato i pezzi alla band – ammette Chris in un’intervista – ma Matt mi disse che in quei testi rivedeva il Chris di 10 anni prima, una nuova persona, e che tutto questo sarebbe stato un grande passo avanti per la band». Entrambi i pezzi hanno dei temi molto delicati ovvero la dipendenza e la liberazione dal mostro dell’alcolismo che il bassista ha vissuto negli ultimi anni della sua vita. “Save Me”, è una canzone d’amore, una di quelle da dedicare alla persona che ami, che ti salva giorno per giorno dalle intemperie della vita, così profonda e raffinata da ascoltare in un silenzio quasi religioso. “Liquid State” è probabilmente il pezzo più forte dell’intero album, con il suo ritmo a tratti in crescendo ed a tratti calante, racconta la lacerante lotta dentro se stessi con qualcosa che ci sta distruggendo.
“The 2nd Law” si chiude con due tracce strumentali: “Unsustainable”, un pezzo tanto criticato quanto amato, che ha spaccato in due i fan della band e che a tratti sembra non avere nulla dei cari vecchi Muse, insomma uno dei più evidenti esperimenti di tutto l’album. Il brano inizia con una sezione orchestrale con enfasi corale, sovrastato dalla voce di una giornalista che legge il tanto “insostenibile” testo; un mix di rumore di umanità in un piccolo pianeta in mezzo al nulla è “Isolated System”, un insieme unico di musica classica, rock progressivo e dubstep, dove la batteria entra nel ritmo e si fa più pesante, concludendosi con la voce di una donna, come a chiudere un ciclo, o meglio a spezzarlo. Si tratta di una di quelle tracce che vanno ascoltate un paio di volte prima di essere capite. I Muse hanno preso i loro Musers, li hanno scossi e buttati giù per le vallate del mondo, facendogli sbattere la testa contro muri di caos e sorti umane come solo loro sanno fare. Bellamy e soci hanno portato alla luce un nuovo capolavoro, che racconta in musica, tra sospiri e speranze ciò che stiamo vivendo, e nonostante qualche stralcio musicale da alzata di sopracciglio, ci hanno convinti che la saggezza spesso sta nel fare la rivoluzione, la stessa che oggi dovremmo fare tutti.
Inviato il 27 ottobre a 10:02
Bellissimo articolo, peccato non sia stata citata l'autrice.