La sedia della felicità, un film di Carlo Mazzacurati. Con Valerio Mastandrea, Isabella Ragonese, Giuseppe Battiston, Raul Cremona, Antonio Albanese, Silvio Orlando, Fabrizio Bentivoglio, Milena Vukotic, Roberto Citran, Katia Ricciarelli, Lucia Mascino, Maria Paiato.Dove mai sarà finita la sedia che custodisce un tesoro? Le danno la caccia due povericristi senza un euro, lei estetista lui tatuatore. Sarà l’occasione per un viaggio tra tipi umani e piccoli mondi paralleli del nord-est di oggi. Mazzacurati, scomparso lo scorso gennaio, ci ha lasciato con un film arguto e per niente musone, eppure indubitabilmente autoriale. Voto 7
Carlo Mazzacurati sul set
Sorridente addio di Carlo Mazzacurati al cinema, al mondo. Se n’è andato, il regista padovano, lo scorso 22 gennaio. A novembre era stato presentato in anteprima al Torino festival questo suo La sedia della felicità, che aveva divertito parecchio chi l’aveva visto, adesso esce al cinema e, dalle risate sincere che ho sentito durante la proiezione all’Anteo qui a Milano, credo proprio che il divertimento si ripeterà moltiplicato. Piacerà, e sarà un bel modo di ricordare e salutare Mazzacurati, cinquant’anni e qualcosa, e 18 film. Un regista che si è trovato ad attraversare i decenni meno felici del nostro cinema, decaduto da potenza mondiale a neanche potenza regionale, solo periferia dell’impero (americano) e del sub impero (francese), con pubblico in fuga prima verso la tv poi verso ogni altro medium possibile. Riuscendo lo stesso a marcare un suo territorio cinematografico, con un lavoro assai personale e dall’impronta netta. Ancora una volta con La sedia della felicità ha messo in scena e in campo il suo nord-est e le figure che lo abitano e percorrono, quel che resta delle tradizione del popolo veneto e quel che di nuovo o sconosciuto è arrivato insieme con gli uomini e alle donne venuti da ogni dove, Africa Asia Americalatina. Lo fa con arguzia e distaccata partecipazione, distaccata perché filtrata dall’ironia e dal suo gusto quasi spontaneo e non coltivato per il bizzarro, il surreale, il lunatico, l’eccentrico. Commedia umana di piccole figure e qualche figura grande e bigger than life, come in un ritratto collettivo di quei fiamminghi in cui si muovono genti di ogni mestiere e foggia e provenienza, o come in un presepe aggiornato all’antropologia contemporanea di una provincia-mondo, di una piccola patria che s’è fatta microcosmo esemplare. Mazzacurati prende un racconto perfetto proveniente dalla Russia, così perfetto e chiuso in sé da sembrare della tradizione orale e invece no, è un racconto nato per la radio sovietica negli anni Trenta (ah, il tempo delle purghe staliniane!) e divenuto così popolare in patria da essere ormai percepito come parte del patrimonio e repertorio collettivo. Già portato in cinema da Mel Broks nel suo lontano, secondo film Il mistero delle dodici sedie (che purtroppo non ho mai visto e a questo punto vorrei recuperare). Dev’essere stata una goduria per Mazzacurati e i suoi sceneggiatori pensare alla versione italiana, anzi veneto-nordestina, tradurlo nel suo mondo e nel suo modo, e difatti il divertimento traspare in ogni fase, in ogni passaggio del film, anche quelli che meno convincono, e che stanno soprattuto nell’ultima parte. Dunque: una madama – è una irresistibile Katia Ricciarelli – spira in carcere dopo aver confidato alla sua adorata manicure-estetista che le applicava gli strass sulle unghie di aver nascosto in una sedia in una certa villa un tesoro in ori e pietre preziosissime. Non è sola, la buona e brava estetista di nome Bruna, ad apprendere le informazioni dalla moribonda, anche il prete, Padre Weiner, riesce a carpire il segreto. La Bruna (Isabella Ragonese) non se la passa bene con i soldi, deve ancora pagare le attrezzature del suo centro estetico, ovvio si metta subito alla ricerca del malloppo che le cambierebbe la vita. Peccato che il lotto di sedie – tutte uguali, tutte egualmente brutte, anzi orribili – è stato portato via in sequestro giudiziario e poi venduto all’asta. Per acciuffare quella giusta bisogna recuperarle una ad una. Un po’ per caso un po’ per necessità la aiuta nell’indagine il mite tatuatore Dino (Valerio Mastandrea), pure lui economicamente assai malandato. La quest delle sedie disperse tra vari proprietari è una magnifica trovata narrativa che apre a infinite possibilità e che nelle mani di Mazzacurati diventa il pretesto e l’occasione per mettere in piedi una galleria, a momenti impagabile, di strani tipi umani e per addentrarsi in piccoli mondi paralleli e sconosciuti. In nicche socio-antropologiche che non ti aspetti. Ce n’è di ogni. Maghi truffaldini, gelatai a convegno, collezionisti folli e strambi, medium in contatto con selvaggi spiriti africani, venditori tv di arte-spazzatura, pittori naïf di montagna e di alpeggio, venditori bengalesi di fiori, ristoratori cinesi, picchiatori rumeni, creditori violenti, badanti arcigne. Una sarabanda che qua e là fa ridere parecchio. In certi momenti non si resiste proprio (per dire, la seduzione da parte di Dino/Mastandrea della tipa del tribunale con quel “si potrebbe allungare il gambo, aggiungere dei petali”, alludendo alla rosa tatuata che la signora ha sul seno). È che il film regge bene per un tre quarti d’ora, un’ora, poi tende a ripetersi meccanicamente, passando quasi in automatico da un proprietario all’altro delle sedie, come infilando siparietti sì divertenti, ma irrelati, non connessi. Ci sono idee che funzionano e altre meno (la parte finale in montagna non è granché). Ma va bene lo stesso, va bene così. Il film solleva e diverte, scorre via che è un piacere, allineando attori, anche in partecipazione straordinaria, uno più bravo dell’altro, e molti già apparsi nei precedenti film di Mazzacurati. Il trio dei cercatori del tesoro, Isabella Ragonese, Valerio Mastandrea e Giuseppe Battiston, funziona senza un intoppo. E Antonio Albanese, Milena Vukotic, Silvio Orlando, Fabrizio Bentivoglio, Roberto Citran e altri ancora e ancora. Tutti lì sul set per l’amico Mazzacurati, ed è un bello spettacolo.