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La sera di Quasimodo arriva sempre al mattino

Creato il 26 ottobre 2013 da Giuseppe Bonaccorso @GiuseppeB


Vorrei scrivere un breve commento alla nota poesia di Salvatore Quasimodo, "Ed è subito sera":

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Il tema della solitudine non è raro in poesia, così come è normalmente presente nella prosa e nella saggistica. Sia che si sostenga la tesi di Quasimodo, sia che si verta al suo opposto (vedi T. Merton), è quasi inevitabile, per chi riflette e per chi scrive, confrontarsi con un'alterità evanescente che, piuttosto che confermare la pluralità, mette in chiara evidenza quel distacco, talvolta incolmabile, che esiste tra gli esseri.

E' molto divers Salvatore-Quasimodoo, infatti, affermare che l'uomo è "solo" tout-court: l'arbitrarietà di quest'affermazione presupporrebbe la conoscenza dell'alterità e il suo non ritrovamento nell'esperienza quotidiana. In altre parole, la solitudine può essere esperita solo da chi è con-altri, per-altri, tra-gli-altri; come affermava giustamente Sartre, infatti, l'ens causa sui non è solo così come possiamo intenderlo noi, semmai esso deve essere "il solo" e quindi riempire ogni spazio con la sua presenza non trascendente. L'uomo, al contrario, con-divide una ter

ra (il "cuor" della terra), un mondo ed è quindi intrinsecamente con-presenza, con-divisione coatta, perfino alienazione per-mezzo-di, ovvero attraverso la quale avviene un tacito riconoscimento.

Ha ragione Quasimodo: "Ognuno", ovvero, per dirla in termini matematici, "per-ogni" uomo, c'è un uomo che sta solo in quello spazio ove la solitudine acquista il suo senso. Nel nulla non si può essere soli, ma "per-il-nulla", ovvero "attraverso l'azione mediatrice del nulla", si è soli. Se non esistesse alcun mondo, forse, chissà, l'uomo potrebbe confrontarsi con il proprio sè, ma purtroppo, proprio a causa di questa terra centripeta, l'uomo è e rimarrà sempre solo, proprio perchè dovrà con-dividerla con altri uomini, ciascuno dei quali è perso nella ricerca di un sè che non trova.

Uno spiraglio sembra apparire insieme al "raggio di sole". Qui si potrebbe aprire un lungo dibattito sulla funzione significante del Sole, della legge, di Dio, ma io preferisco rimanere su un terreno neutro e pongo l'enfasi sull'uso del verbo "trafiggere". Non si "trafigge" per toccare. Si "trafiggere" per uccidere, ovvero per nullificare. Ed è proprio questa l'azione inesorabile di quel Sole: mettere l'uomo di fronte al suo nulla: mostrarsi nel suo inutile splendore per far comprendere che esso è altro, così come ogni uomo è condannato ad essere altro.

Da questo ragionamento alla conclusione, il passo è breve. La sera è il momento in cui il Sole scompare, smette di riscaldare ma smette anche di trafiggere. Non è un'immagine crepuscolare quella che chiude la terzina, ma piuttosto il trionfo della solitudine, perfino su quel significante che appare all'orizzonte. Proprio il Sole, pieno, luminoso, caldo, finisce per cadere al di là dell'orizzonte e l'uomo, ancora una volta, comprende che anche "quell'altro" lontano è, in fin dei conti, altro. Altro che non può significare la sua esistenza. Altro che può, tutt'al più trafiggere, senza mai riuscire a finire le sue vittime. E' la solitudine che infatti le salva in-extremis: solo l'uomo solo può vivere in pieno la sua esistenza da dio mancato.

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