La serata al Premio Holmes Awards 2015, di Gabriella Grieco.
Gabriella ha vinto il Premio Holmes Awards 2015, fra gli inediti, con il romanzo L’inferno è buio e freddo e la motivazione della giuria è stata la seguente:
La vendetta può diventare un bisogno. Un bisogno tanto ardente da spingere a commettere qualsiasi gesto pur di riuscire. E’ questo quello che si legge nelle pagine della Grieco, un romanzo tracciato in maniera mirabile, dove la vera protagonista è la giustizia, e non importa se per ottenerla c’è bisogno di incorrere in azioni che vadano contro la giustizia stessa. Il tema resta comunque quello e, nonostante le azioni che commetterà la protagonista, motivata prima dal dolore per la perdita di un figlio e poi dal dolore di una ragazza che entrerà nella sua vita improvvisamente trascinandola completamente nella sua storia, della quale poi lei diventerà difensore, la donna riuscirà a trascinare in un inferno buio e freddo tutti coloro che si sono resi protagonisti di un crimine assurdo, fino a giustizia completa. Un testo che narra argomenti che possono appartenere a tutti, come la vendetta, la giustizia a modo proprio, il dolore del lutto che non si esaurisce mai ma che anzi cresce nel tempo. Lineare, limpido nella trama e nella trasparenza dei capitoli che si susseguono intrecciando la trama senza mai perdere il filo conduttore che legherò il tutto sino alla fine. Il testo di Gabriella Grieco è un vero romanzo dove il sopravvento è preso dagli stati emozionali che spesso ci controllano, ci manipolano, ci guidano fino a diventare l’opposto di quello che si è o cui si crede di essere.
Ehi, che bello! Sono tra i vincitori con il mio romanzo inedito “L’inferno è buio e freddo”, che è poi una specie di secondo round di Isabella, la protagonista del mio thriller (edito,questo, dalla Factory Editoriale I Sognatori).
Che bello, certo. Quando illo tempore lessi del premio, partecipai così, senza grandi aspettative. Eh sì, lo so, da quando ho deciso di lanciarmi nel mondo della scrittura sto avendo parecchie soddisfazioni, ma nel mio intimo io sono sempre la ragazza semplice di una volta che non si è montata la testa, eccetera eccetera… (l’ironia è chiara, vero?) Insomma, sto sempre lì a chiedere “ma chi, io?” e a guardarmi in giro con aria leggermente ebete.
Comunque, dicevamo… Poi ho ricevuto la comunicazione che, ma guarda un po’, il mio inedito era tra i vincitori. Wow!
“Lei verrà alla premiazione?”
“Eh, ma certo. Dove?”
“Hotel Terminus, Napoli”.
Ah. Ok. Napoli. Non la mia città preferita, a dire il vero. Per carità, non ho nulla contro la città in sé e per sé, ma… avete presente Goethe? O anche Benedetto Croce, ché non è sicuro chi sia stato a coniare il detto “un paradiso abitato da diavoli”.
Ora, lo so che sto per suscitare un vespaio, ma a me certa gente, di cui Napoli purtroppo abbonda, non piace. Ah, prima che mi crocifiggiate, io sono meridionale, di Salerno, ma ciò non fa di me un difensore a tutto spiano di qualsiasi nefandezza del mio sud.
Dunque…
Sali sul treno e ti si presentano, nell’ordine (e tenete presente che il treno è ormai partito e quindi, in teoria, chi ci sta su dovrebbe essere o un viaggiatore pagante o un ferroviere):
- a) una zingarella che ti chiede soldi;
- b) un tizio che spaccia calzini e ti chiede soldi;
- c) altro tizio, che puzza di vino in maniera rivoltante, che si inginocchia nel corridoio e inizia una pietosa geremiade per chiederti soldi. Questo, ovviamente, sia all’andata che al ritorno.
Ok, fa niente, arrivo a Napoli. Dov’è l’Hotel Terminus? Ah, ok, dall’altro lato di Piazza Garibaldi. Cento metri? Duecento metri al massimo. Che sarà mai? Pochi minuti di cammino. Sì, vabbè, devo scansare le coperte stese sul selciato con una magnifica esposizione di borse, cappelli, cinture, portafogli… Si può fare, basta scansarle. Ah, poi però mi devo guardare dal tizio che si avvicina e quasi mi sfiora, violando in maniera palese la mia distanza di sicurezza, e mi offre aifon, aipad, smarfon, tutta roba funzionante, eh! Scanso anche questo per imbattermi nel gruppetto che gioca alle tre carte e cerca di allettarmi o, visto che non mi faccio tentare, di infilarmi le mani in borsa. E meno male che, previdente, la mia borsetta l’ho indossata sotto il cappotto. Però la nota della spesa che tenevo in tasca si è volatilizzata, ohibò! Ok, adesso non mi resta che rifiutare l’acquisto di un ombrello pieghevole e uno no (piove, ma io l’ombrello ce l’ho già), di altri calzini (ebbene sì, eccheccavolo, quelli servono sempre eddai, signora, tengofamiglia, chetticosta, aggia campà pur’io), di caricabatterie di tutti i tipi, di un tabble(t) e di una telecamera. Uff!
Trovo la stanza giusta “Sala Biblioteca Grande” e mi accomodo. Noto con un certo stupore che, nonostante il nome e il fatto che vi si tenga una premiazione letteraria, di libri in giro non se ne vedono. O meglio, si vedono scaffali e libri in quantità, ma sono affreschi. Ben disegnati, però.
Io, ovviamente, sono arrivata con largo anticipo, ma siccome arrivare presto è da cafoni, mi sono fatta un altro giro nell’amena piazza prima di ritornare alla sede della premiazione.
La saletta (e la chiamano biblioteca grande?!) è già affollata, ma ci sono ancora diversi posti, a scelta, dalla prima all’ultima fila. Io, sempre ovviamente, mi metto in fondo e non vedo quasi niente, ma almeno non mi sento a disagio. In fondo alla sala, di fronte a me, un’ampia scrivania con tre persone dall’aspetto autorevole, alla loro sinistra un beneaugurante tavolo colmo di coppe e diplomi (chissà quale mi toccherà?).
Tempo pochi minuti, arriva l’ultimo ritardatario che si era perso nei meandri dell’albergo, finendo dritto in palestra, e comincia la serata.
Siamo tutti presenti, tutti in attesa di fare la nostra bella figura con coppa e stretta di mano. La cosa piacevole, oltre al fatto di aver vinto, certo, è stata la critica, ben strutturata e argomentata, che la giuria ha fatto di ogni lavoro che ha letto. Critica che ci è stata consegnata con tanto di busta sigillata e firme.
Involontario clou della serata è stata l’esibizione estemporanea dei “Fatebenefratelli” un duo cabarettistico presente alla serata per ritirare, anche loro, il proprio premio per un romanzo scritto a quattro mani. La premiazione è durata il giusto, lunga a sufficienza per dare spazio a tutti i premiati, ma non tanto da risultare noiosa.
C’è da dire che l’Accademia degli Artisti, che ha organizzato questi premio, ha fatto tutto a titolo gratuito. Questo è encomiabile, data la gran massa di premi e concorsi che richiedono contributi più o meno onerosi per partecipare.
Adesso la mia coppa fa bella mostra di sé sulla mia libreria, insieme ai libri che ho pubblicato e agli altri premi che ho vinto.
«Ammazza, e come sono brava!» esclamo e al tempo stesso mi chino per scansare pomodori, foglie di lattuga, torsoli di mela e amenità varie che, ne sono certa, mi state inviando (affettuosamente, però).