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La Serata Aziendale di Biliardo

Creato il 03 marzo 2011 da Obyinlondon

La Serata Aziendale di BiliardoE’ un monotono giovedì pomeriggio quando nell’ufficio si insinua – silenziosa ma perniciosa come un’infezione batterica – un’email della direzione che ci porta la notizia dell‘annuale torneo di biliardo.

Immediatamente sguardi fugaci si rincorrono da una scrivania all’altra, palline di carta con messaggi segreti si vedono scagliate da una sponda all’altra dell’ufficio, guanti bianchi di sfida vengono estratti dall’ultimo cassetto della scrivania: l’intero dipartimento é in fibrillazione.
Vengo così a scoprire l’esistenza di una consolidata storia di guerre, amori, tradimenti, lacrime e sangue, che si consumano ogni anno attorno a suddetto torneo; inutile elencare quante diatribe centenarie – che risalgono a quando i nonni dei nonni erano colleghi nella stessa azienda - vengono rinfiammate dallo scoccare della fatidica data.

Personalmente estraneo alle vicende mi disinteresso immediatamente della tediosa epistola per proseguire nel mio lavoro, fino a quando il buon responsabile della manutenzione passa casualmente di fronte alla mia scrivania per chiedermi se fossi interessato ad unirmi al loro team della disperazione, al cui rispondo gentilmente che avrei preso più volentieri la scabbia norvegese che l’invito a partecipare, ma ai manutentori non interessa: “Ah, ok, comunque abbiamo dovuto iscriverti senza dirtelo perché altrimenti non potevamo fare la squadra che ci danno la birra gratis!!!111!!” (ah ecco…).

Allora, per chiarire: la mia riluttanza nasce dal fatto che la mia esperienza con il biliardo é molto, molto limitata. Dovete sapere che anni fa io ed i miei amici eravamo soliti passare le calde domeniche d’estate in una contumace sala giuochi di Bergamo, comodamente allocata accanto ad un bordello cingalese - del quale la sala stessa faceva da giunonica succursale, quando si dice un business basato sul far entrare cose in buca – e pertanto so di per certo che una preparazione a base di palle e mazze non può avermi dato la preparazione sufficiente a competere con gli snookers britons addestrati fin da piccoli a fare il centro perfetto con venti pinte di birra Samuel Adams Triple Bock in circolo; per questo ed altri motivi ho in tutti i modi ho cercato di sottrarmi ad una serata dalla quale potevo soltanto aspettarmi il peggio.

Comunque, volente o nolente, per evitare l’ira di pericolosi manutentori britannici assetati di birra, giunge la sera del fatidico evento e mi presento all’ingresso della sala da biliardo portando con me tutti i sintomi tipici da ansia da prestazione (sudorazione fredda, palpitazioni ventricolari, desquamazione delle pelle, contrazioni pre-parto, e così via) ed un tomo di quattrocento pagine intitolato “Pool for Dummies” imparato a memoria la sera precedente. La sensazione di panico comunque dura poco: all’ingresso nel locale vengo immediatamente accolto da una manfrina fin troppo familiare: banchieri ultramiliardari si tengono saldi al bancone per non cadere tra le grinfie della malvagia gravità, consulenti finanziari cantano e ballano ad occhi chiusi rivolgendosi ad un ente superiore (presumibilmente il Dio denaro), pezze umane simili ad impiegati giacciono collassati sui divanetti dopo una perdita collettiva di conoscenza, e infine, come potrebbero mancare le inestinguibili segretarie ubriache che già stanno cantando le osterie sopra i tavoli da biliardo con le scarpe col tacco saldamente strette in mano? Ah, mi sento quasi in famiglia.

Inteso che la serata non ha preso la piega che mi aspettavo, faccio per ritornare sui miei passi e strisciare verso la più vicina stazione della tube, ma purtroppo la mia presenza é già stata rilevata dalla terribile amministratrice delle relazioni pubbliche; la scheletrica megera si avvicina a velocità lenta e costante fluttuando a due centimetri dal suolo come fosse spinta su pattini a rotelle. Cerco disperatamente una via di fuga – o in alternativa un’arma contundente tipo scacciacani – senza successo, e mi arrendo così al mio destino quando, al fulmicotone, vengo salvato dal capo della manutenzione (!) il quale si fionda dal cielo offrendomi una stecca che abbraccio senza alcuna esitazione. Vedo l’amministratrice struggersi in lacrime amare vedendosi tradita con una che probabilmente scambia per sua sorella, ma di lì a poco sarà già sul ciglio della cucina marpionando uno lavapiatti kazako romanticamente intento a cambiare l’olio delle patatine fritte, quindi c’é poco di cui preoccuparsi.

Grazie al fido manutentore mi trovo fiondato nella zona fisicamente sana della serata (sul mentalmente non saprei dire): un’isola felice circondata da un mare di alcool che si rivela essere un paradiso fiscale di giovani giocatori d’azzardo, un’autentica cricca clandestina riunita attorno ad un tavolo da biliardo risalente probabilmente alla nonna del Duca di Wellington. Incontro lo sguardo di vetro dell’insospettabile head receptionist (donna riconosciuta da tutti in azienda per suggellare perfettamente l’icona della stronza suprema) che si rivela ora essere anche la gestrice delle puntate d’azzardo: sputa nel portacipria e si guarda per un attimo allo specchio sistemandosi il make-up, poi mi volge uno sguardo di disprezzo e decanta: “Sei contro Katya”. Poi fa partire un altro sputo e torna sistemarsi il trucco mentre con l’altra mano raccatta i soldi delle scommesse

Faccio così la conoscenza di “Katya”, giovane promessa del tavolo verde, che mi coinvolge in una sfida senza esclusioni di colpi; é una battaglia agguerritissima e senza quartiere, dove tutte le debolezze dell’avversario vengono messe allo scoperto – nel caso di Katya vengono allo scoperto anche altre cose – e nel corso della partita più volte mi convinco di essere ad un passo dalla vittoria, ma chiaramente é tutta una trappola: questo perché, povero ingenuo, non posso sapere che “Katya”, segretaria polacca di discendenza sovietica, é abilmente addestrata nell’arte dello spionaggio internazionale, addestrata da una astuta nonna a sua volta infiltrata tra i ranghi del Fuhrer in tutte le tattiche più subdole per adescare il “cliente” facendogli scommettere tutti i soldi, distraendolo abilmente mostrando debolezze di facciata (quella di dietro), e stracciandolo sul finale: é un’autentica macchina da guerra con un cervello da calcolatore elettronico, ed ha chiaramente sempre avuto la vittoria in tasca.
Di lì a pochi minuti sono al verde e travolto dall’onta del disonore.

Mi fiondo in bagno per nascondere la testa nella tazza del water dalla vergogna, ma vengo fermato dal tizio delle pulizie – un analfabeta botswano che mi sorride mostrandomi denti dai colori dell’autunno – il quale mi fa capire a gesti che la porta é guasta: un problema con la giuntura le impedisce di aprirsi completamente e, per quanto si tenti e ritenti, a metà della corsa uno scatto violento, quasi legnoso, ne ferma l’avanzamento. Incline a risolvere il mistero – per risollevare la poca autostima rimasta integra – m’ingegno per svelare l’arcano, fino a che vedo la luce: “Ecco! Qualcuno é in qualche modo riuscito ad infilare uno spazzolone mocio nell’angolo della porta!“. Così mi inginocchio, afferro il mocio, e tiro con forza. Sento un’acuta voce esclamare “Ahi!!”.
Scopro con orrore che si tratta nuovamente di lei, l’amministratrice delle relazioni pubbliche, collassata sul pavimento e presa a sportellate in faccia da almeno due ore mentre era accasciata senza sensi sul pavimento di una cabina. Nel bagno degli uomini.
Decido di tornare a giocare.

Arrivo in tempo per scoprire che l’apice della civiltà e del buongusto british é stato finalmente raggiunto: Infatti é scoppiata una rissa. A quanto pare qualcuno ha scoperto che uno dei membri della squadra vincente ha partecipato, trentotto anni fa circa, ad una partita professionale di biliardo – cosa non ammessa ad una sfida aziendale chiaramente amatoriale – facendo alterare tutti i partecipanti e sopratutto infuriare la head receptionist che minaccia di cambiare la direzione degli sputi.

La serata viene fortunatamente salvata dall’irruzione di una virago di 140 chili – associata in qualche modo al locale – che sbatte fuori a calci nel culo tutti i presenti – coscienti ed incoscienti – e con il colpo di una mano abbassa la serranda che romanticamente ospita un cartello con la frase “Fuck off – We’re closed”.

La serata si conclude quindi senza vincitori né perdenti e, mio malgrado, devo dire che a tratti mi sono quasi divertito (forse che sto diventando british anche io?!).
Ora devo soltanto lavorare un attimo su quella tattica segreta dell’ingannare l’avversario per consegnarmi la vittoria…  cominceró rassodando i glutei.


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