Presentato ieri, alla presenza dell’autore, l’amaro e allo stesso tempo divertente romanzo dello scrittore Flavio Santi “Apetta primavera, Lucky” edito quest’anno da Socrates edizioni. La serata condotta dal curatore di Caffè Letterario Marco Sangiorgi e dallo scrittore faentino Giovanni Nadiani, si è protratta per quasi due ore scatenando nel finale diverse domande dal pubblico presente, stimolato dai tanti temi trattati dal racconto di Flavio Santi; dalla rabbia anrchico-socialista contro il potere, alla sofferenza patita a causa del feroce sistema aziendalistico dell’industria editoriale di oggi, per passare alla delusione per una politica ridotta a scambio di favori, fino al divertentissimo capitolo sulla storia della nostra letteratura vista attraverso il servilismo e alla facilità di genuflessione al potere di tanti protagonisti della nostra storia letteraria. Tutto ciò, unito alla bravura stilistica di Flavio Santi fa di questo romanzo un libro godibilissimo, che, come ha detto Giovanni Nadiani, andrebbe letto ad alta voce e da cui si potrebbe trarre un’opera teatrale sia sotto forma di monologo che come opera corale. Un libro che è il canto del cigno di una generazione di intellettuali che sembra aver perso la battaglia senza nemmeno aver potuto cominciare a combattere. Intellettuale per me – ha detto Flavio Santi - è chiunque usa la propria testa, il proprio intelletto in modo autonomo e critico. Non solo per lavoro, ma in ogni circostanza della vita. Per me sono intellettuali i maestri e gli insegnanti, i professori e gli operatori culturali, i bravi impiegati comunali, i politici attenti, insomma tutte quelle persone che non rinunciano mai all’intelligenza e all’umanità. Poi, certo, ci sono gli intellettuali “più in vista”, quelli che scrivono, vanno in radio, alla televisione. Il compito di questi ultimi è ancora più delicato. Sono quelli che pubblicamente, perché ne hanno i mezzi, devono criticare certi meccanismi di potere che stanno rovinando il nostro Paese, dunque raccomandazioni, segnalazioni, favoritismi, logiche di clan, scarso spirito critico – ai limiti del servilismo –, ecc. Sono quelli che devono impegnarsi per cambiare. Fulvio Sant ( il protagonista del romanzo) è più disilluso di Flavio Santi; io credo davvero nella possibilità di un cambiamento in positivo della nostra società. Uno spunto potrebbe venire dalla teoria della cosiddetta we-rationality di Robert Sugden, secondo cui per decidere quali azioni intraprendere non bisogna pensare “questa azione ha buone conseguenze per me”, ma “questa azione è la mia parte di una nostra azione che ha buone conseguenze per noi”.
Presentato ieri, alla presenza dell’autore, l’amaro e allo stesso tempo divertente romanzo dello scrittore Flavio Santi “Apetta primavera, Lucky” edito quest’anno da Socrates edizioni. La serata condotta dal curatore di Caffè Letterario Marco Sangiorgi e dallo scrittore faentino Giovanni Nadiani, si è protratta per quasi due ore scatenando nel finale diverse domande dal pubblico presente, stimolato dai tanti temi trattati dal racconto di Flavio Santi; dalla rabbia anrchico-socialista contro il potere, alla sofferenza patita a causa del feroce sistema aziendalistico dell’industria editoriale di oggi, per passare alla delusione per una politica ridotta a scambio di favori, fino al divertentissimo capitolo sulla storia della nostra letteratura vista attraverso il servilismo e alla facilità di genuflessione al potere di tanti protagonisti della nostra storia letteraria. Tutto ciò, unito alla bravura stilistica di Flavio Santi fa di questo romanzo un libro godibilissimo, che, come ha detto Giovanni Nadiani, andrebbe letto ad alta voce e da cui si potrebbe trarre un’opera teatrale sia sotto forma di monologo che come opera corale. Un libro che è il canto del cigno di una generazione di intellettuali che sembra aver perso la battaglia senza nemmeno aver potuto cominciare a combattere. Intellettuale per me – ha detto Flavio Santi - è chiunque usa la propria testa, il proprio intelletto in modo autonomo e critico. Non solo per lavoro, ma in ogni circostanza della vita. Per me sono intellettuali i maestri e gli insegnanti, i professori e gli operatori culturali, i bravi impiegati comunali, i politici attenti, insomma tutte quelle persone che non rinunciano mai all’intelligenza e all’umanità. Poi, certo, ci sono gli intellettuali “più in vista”, quelli che scrivono, vanno in radio, alla televisione. Il compito di questi ultimi è ancora più delicato. Sono quelli che pubblicamente, perché ne hanno i mezzi, devono criticare certi meccanismi di potere che stanno rovinando il nostro Paese, dunque raccomandazioni, segnalazioni, favoritismi, logiche di clan, scarso spirito critico – ai limiti del servilismo –, ecc. Sono quelli che devono impegnarsi per cambiare. Fulvio Sant ( il protagonista del romanzo) è più disilluso di Flavio Santi; io credo davvero nella possibilità di un cambiamento in positivo della nostra società. Uno spunto potrebbe venire dalla teoria della cosiddetta we-rationality di Robert Sugden, secondo cui per decidere quali azioni intraprendere non bisogna pensare “questa azione ha buone conseguenze per me”, ma “questa azione è la mia parte di una nostra azione che ha buone conseguenze per noi”.
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