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L’omicidio del giornalista Walter Tobagi (1980) e l’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli. Due vicende tragiche e paradigmatiche di quegli anni “nobili e tremendi” come li ha definiti Umberto Ambrosoli che ha così cominciato il suo intervento: “Due storie di persone che hanno dato un peso prioritario, nel momento della loro responsabilità, al bene collettivo, e se la società avesse fatto proprie quelle storie, al fine di trarne i frutti, oggi probabilmente la nostra realtà sociale sarebbe un po’ migliore.” Poi, dopo aver tratteggiato la figura del padre Giorgio e del suo incarico di liquidatore della Banca Privata Italiana di Sindona che in un crescendo di interferenze politiche, isolamento e minacce lo porteranno alla morte avvenuta per mano di un sicario della mafia italo americana nel luglio del 79, Umberto Ambrosoli ha così concluso: “Tutto quello che riguarda la vicenda di mio padre, emerge in ultimo con nitore nel 1986 quando si celebra il processo per il suo omicidio. Emerge il sistema della corruzione, la perversione dei rapporti fra un certo mondo imprenditoriale, finanziario e politico, la concezione di potere che animava molti che occupavano i vertici delle istituzioni italiane. Ma nessuno ne parla. Poi nel 1992 esplode “Mani pulite” ma non esplode in realtà niente di diverso da quello che si era già visto nel 1986 col processo Ambrosoli. Ma nulla era cambiato. La conoscenza e la consapevolezza di un sistema non si era tradotto nella creazione di regole che impedissero il perpetuarsi di quel sistema e temo che tutto ciò si sia ripetuto ancora dopo “mani pulite”. Mi pare che da allora ad oggi non sia stato creato uno sbarramento al sistema della corruzione. Chiunque viva nel mondo delle imprese o ne abbia contatto si rende conto che ancora oggi il rispetto degli interessi della collettività viene sempre dopo la persecuzione dell’interesse personale sia di chi controlla che di chi è controllato, di chi compra e di chi si vende.
E questo accade non perché viviamo in un sistema politico corrotto guidato da una banda di malfattori e profittatori. Tutto ciò accade perché noi stessi nella nostra vita non mettiamo la legalità al primo posto. Cioè non mettiamo il rispetto degli altri al primo posto. E quindi necessariamente produciamo dei responsabili politici speculari a come siamo. E abbiamo ben poco da lamentarci. Perché quello che quotidianamente affermiamo - cercando di eludere una tassa, parcheggiando in doppia fila, approfittando di una conoscenza o una raccomandazione per evitare una fila o cercare un posto di lavoro - è che questo è il mondo che vogliamo, questa è la società che vogliamo, questo è il paese nel quale vogliamo vivere. Un paese dove ciascuno coltiva il proprio orticello. Al contrario l’esempio di mio padre e di tanti altri è invece la dimostrazione che si può vivere in un altro modo, che è possibile pretendere un altro modo di vivere. Che esiste per ognuno di noi la possibilità di occuparci del nostro piccolo orticello nello stesso modo in cui si è comportato Giorgio Ambrosoli trent’anni fa in un orto che era pieno di spine e di frutti velenosi.”
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