La sete

Creato il 28 gennaio 2015 da Philomela997 @Philomela997

La prima sensazione che ricordo, quando ho riaperto gli occhi, è la sete. La gola arida, la pelle bruciava. Poi i suoi occhi, blu. Dello stesso colore del maglione rattoppato comprato anni prima, forse, per metterli in risalto, o regalato da una madre adorante. Il volto era di quelli che possono accartocciarsi in un’espressione porcina, se si abbandonano al cinismo, ma il suo era sempre disteso in una serenità curiosa. Lo amavo, quando mi svegliai, il suo ricordo era nitido. Ma non conoscevo il suo nome. Forse non l’avevo mai saputo. Aveva un accento leggero del sud, come stemperato da un lungo soggiorno all’estero.

All’inizio, quando tornai a camminare, lo cercai per le strade e nei teatri. Poi, lentamente, accettai il dolore d’averlo perduto e rinunciai. La sete pian piano si quietò, trovai lavoro in una libreria di catena e affittai un monolocale sulla Giudecca. Sorridevo, ma le labbra tirate sigillavano una voragine.

Pensavo al processo di osmosi e alla forza d’attrazione dei buchi neri, senza avere alcuna cognizione scientifica a riguardo, mentre vendevo libri che sarebbe stato meglio mandare al macero. Era un pomeriggio in cui i canali specchiavano un cielo in tumulto, inusuale in inverno. Tutto era grigio e azzurro fuori dalle vetrine natalizie. Circondata dall’allegria plastificata del comprar regali, con le dita che si trascinavano sul registratore di cassa, sentii una parlata dolce, fuori luogo a Venezia.

“Ciao, stavo cercando Vergogna di Cotzie, posso chiedere a te?”

Parlava con la mia collega. Non alzai lo sguardo ma mi sentii ardere come una strega al rogo. Spostai gli occhi dal cliente davanti a me alla mia collega, da lei al ragazzo che le stava di fronte. Le labbra morbide nascoste dalla barba incolta, il cappotto da marinaio con i bottoni scuciti. Ci eravamo mai incontrati? Il mio stomaco si accartocciò.

“Se vuoi seguirmi, te lo cerco io” m’intromisi abbandonando lo scontrino che stavo battendo, improvvisamente incurante del lavoro, del responsabile, dello stipendio.

Trovai il libro troppo in fretta e mentre glielo porgevo sentivo una tensione statica crescere tra le nostre mani. Mi guardava sorridendo.

Era buio da qualche ora quando finii il turno. La luce era calata lentissimamente, in un tramonto infinito, ma non avevo fretta. La mia mente era intrappolata in una fissità immota, nessun pensiero ne increspava la superficie. Nuotai leggera uscendo dalla libreria e m’infilai nel caffè vicino per una cioccolata, come tutte le sere.

Sembrava che mi stesse aspettando. Sorrideva ancora. Solo per me? “Buonasera” disse strizzandol’occhio.

Non riuscivo a mettere a fuoco. “Buonasera” risposi.

“Cosa posso offrirti?”

La ragazza dietro al bancone mi guardò divertita. Rimanevo in silenzio. “Credo una cioccolata, vero Meri?”

Deglutii. “Certo, una cioccolata, grazie.”

Ero completamente secca, gli occhi bollenti. “E’ un libro impegnativo” balbettai, ricordando solo la tristezza della storia d’amore. “Vuoi venire a cena con me?” chiesi subito dopo. La ragazza dietro al bancone soffocò un ridolino e si allontanò.

Lui mi guardò come se si svegliasse.

“Come ti chiami?” chiesi.

“Lorenzo” abbassò lo sguardo. “Posso rilanciare invitandoti a teatro? Vado con degli amici a vedere uno spettacolo.”

“Certo” deglutii.

Così mi trovai nel loggione del teatro Fondamenta Nuove ad ascoltare cantanti che non conoscevo. Era una serata di beneficienza. Mi sentivo spaesata. Mi allontanai presto per cercare un posto a sedere e meditare. La cattiva musica e l’uomo che si dimenava sul palco, per fortuna era lontano, mi davano la nausea. Chiusi gli occhi, cambiò la canzone, rimase lo squallore. Mi sentivo soffocare. Non riuscivo a deglutire. Poi la mia mano incontrò un corpo caldo. Aprii gli occhi e vidi lui. Senza stringermi, sfiorandomi con leggerezza ballava con me. Mi sollevò il braccio e ruotò su se stesso. Nel buio e nello squallore, non capivo non sapevo, non m’importava. Aveva una camicia bianca e sapeva di buono, gli occhi curiosi. E il mio volto, distrutto e scomposto dall’accozzaglia di me che era sopravvissuta, si aprì in una risata.

“Mi sembra di conoscerti da molto tempo” dissi.

“Allora vieni” rispose lui.

Lo seguii sentendomi piccola, con le palpebre chiuse sul buio della notte. Non volevo vedere cosa c’era fuori. E la sete, la sete, la sete, che nessun liquido poteva placare. Le sue dita mi ustionavano.

Riaprii gli occhi e le labbra per baciarlo. C’era silenzio. Scalzai impaziente la camicia gli toccai il ventre e dalla gola riarsa proruppe un gemito. Le dita frenetiche si aggrapparono alla sua cintura per averlo vicino, impastato, rovente. A terra c’era sabbia, le onde salate mi spruzzavano il volto. Nudi, il corpo cede calore all’esterno. Le mie braccia si vestirono di squame argentate e i suoi occhi diventarono tondi. Cercai con la lingua le sue mani e le trovai palmate. Le labbra si chiusero, boccheggiavo. Tutto era enorme, non capivo, non pensavo non potevo respirare. Le mie membra d’argento vennero scosse da uno spasimo e lo vidi guizzare via, tra le onde. Mi dibattei sulla sabbia per raggiungerlo, spinsi con le pinne mi ferii con le conchiglie e sentii, finalmente, che la laguna mi avvolgeva d’acqua salmastra.

Già mi stavo perdendo quando lo vidi. Si allontanava tra le alghe filamentose e pensarlo era sempre più difficile, non conoscevo più il tempo ma sapevo che in pochi istanti avrei smarrito il ricordo. La mia mente sfuggiva tra le onde e il sale corrodeva la dolcezza. Pochi istanti e non sarebbe rimasto nulla, mi sarei abbandonata alla corrente.

Ma il mio ultimo pensiero, quello, sarebbe stato per lui.

Img: Fishby SaldaeanFarmgirl


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