Le cifre sono importanti, come è importante l’Auditel e la misurazione dell’ascolto: nella serena consapevolezza che si potrebbe anche decidere di non tenerne conto, di andare oltre i dati, di considerare che la quantità non misura la qualità, non misura il gradimento. Non li misura, ma neppure li esclude. E dunque, quando ci sono cifre importanti, come queste del Tg1 in crescita continua, non significa che il pubblico si sintonizza sulla prima rete che incontra. Non più così. Significa che una scelta ben precisa sottende il tocco del telecomando: la scelta della credibilità, dell’attendibilità. Ma anche della possibilità di critica: come se lo spettatore sapesse che, con il Tg1, si fa una base informativa, conosce la versione ufficiale delle vicende, con i politici non ancora immersi nei teatrini dove andranno a fare le maschere della commedia dell’arte. Di lì, da quella base, lo spettatore può poi approfondire e trarre, se vuole, le sue conclusioni. Non si guarda il Tg1 per pensarla come il Tg1, che cerca peraltro di essere sempre neutro; ma per basarsi su quello che il Tg1 racconta per formarsi una propria idea. In modo da affrontare preparati anche l’informazione che viene dal web.
Alessandra Comazziper "La Stampa"