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La shari’a e il neo costituzionalismo islamico di Fabrizio Giulimondi
Creato il 08 dicembre 2014 da Fabrizio64I primi Autori ad aver tematizzato la teocrazia costituzionale come categoria autonoma (Olivier Roy, Ran Hirschl e Larry Catà Back) hanno compiuto una profonda disamina dei tratti fondamentali edei limiti dei principi ispiratori del costituzionalismo teocratico islamico.Ran Hirschl sostiene la tesi secondo la quale dalla mescolanza di valori, ideali e punti di vista apparentemente contraddittori, la teocrazia costituzionale offre una cornice, uno scenario ideale attraverso cui è possibile studiare ed analizzare il costituzionalismo. Tale studio è stato compiuto ricorrendo a strumenti di indagine che vanno oltre la tradizionale prospettiva di esame del costituzionalismo quale dottrina rintracciabile solamente in quei sistemi sociali e politici che si ispirano in modo immediato alla democrazia.Le teocrazia costituzionale si colloca sul punto di intersezione tra il generale ed il contestuale, fra l’universale e il particolare: può essere definita come la versione costituzionale di quella che anche Ran Hirschl qualifica “glocalization”, ossia il processo per mezzo della quale ciò che è globale e ciò che appartiene alla sfera del locale si fondono e si incorporano in una sintesi. La teocrazia costituzionale è un laboratorio vivente e in continua evoluzione con una forma non ancora del tutto definita fra costituzione e religione, moralità ed interessi terreni, governo delle anime e della organizzazione della cosa pubblica.La costituzione irachena del 2005 emula il lungo catalogo di diritti appartenenti alla tradizione occidentale che sostanziano i parametri, unitamente ai precetti coranici e alle prescrizioni scritte ed orali giuridiche islamiche, per lo scrutinio costituzionale delle leggi da parte della Corte Costituzionale, la quale valuta una disposizione costituzionalmente legittima qualora sia rispettosa dei dettami dell’Islam e in linea con i valori della democrazia, dei diritti e delle liberà individuali.L’art. 4 della costituzione iraniana del 1979, modificata nel 1989, qualificala shari’a come legge suprema, superiore alla stessa costituzione, sottolineando la derivazione divina dell’intero ordinamento giuridico e della autorità politica e, nel contempo, ai sensi dell’art. 6, l’amministrazione dello Stato è affidata al popolo che elegge il Presidente e i consiglieri municipali. Mentre Hirschl individua nella teocrazia costituzionale una nuova forma di Stato che risulta dalla confluenza della diffusione del controllo di costituzionalità con il ritorno della religione nella sfera pubblica, Larry Catà Backer preferisce parlare di costituzionalismo islamico transnazionale come del fenomeno più rilevante che si sia dispiegato negli ultimi decenni a livello globale. Mentre il XX secolo ha visto la lotta fra la forma Stato e la forma mercato, il XXI secolo è iniziato con la lotta tra il costituzionalismo secolare di impronta occidentale ed il costituzionalismo teocratico di marca islamica. Mentre nel costituzionalismo transnazionale post-bellico la religione occupava un posto limitato, un diritto tra gli altri, nel costituzionalismo teocratico la religione assume un ruolo preminente, fondamento ultimo dell’ordinamento giuridico e limite alla legislazione, nonché alla stessa supremazia costituzionale, come si evidenzia con prepotenza nella cennata costituzione iraniana del 1979, anche se le sue radici affondano nel nazionalismo pan-arabo del XIX secolo ed alla resistenza persiana nei confronti della occidentalizzazione antecedente al primo conflitto mondiale.La costituzione dell’Iran è la capostipite, a cui seguono quella afghana del 2004 e quella irachena del 2005, con inevitabili influenze sulle costituzioni degli Stati nordafricani protagonisti della c.d. primavera araba. Una nuova forma di Stato emerge dai capovolgimenti storici e dalla rivoluzioni popolari: la teocrazia costituzionale, come combinazione di elementi teocratici e di istituzioni classiche proprie del costituzionalismo occidentale. Mentre, però,in questo ultimo la costituzione è essa stessa inveramento di un principio di legittimazione autosufficiente(id est la costituzione si autolegittima come fonte super-primaria, noma fondamentale, grundnorm, fonte gerarchicamente superiore a tutte le altre in seno al medesimo ordinamento), nella dottrina giuspubblicistica islamica la costituzione non può violare la legge divina, che minaccia di determinare un vulnus al medesimo fondamento giuridico di legittimazione della Costituzione stessa.Mentre nel moderno costituzionalismo occidentale la religione è stata concettualizzata come un diritto tra gli altri, con diversificati livelli di protezione e con diverse strategie di accordi fra la confessione religiosa e il potere politico, nel costituzionalismo teocratico post-moderno la religione costituisce “il” fondamento stesso delle comunità politiche. La religione “è” la higher law che limita l’espressione costituzionale della società, esiste al di fuori del diritto e del controllo degli organi statuali ed è dotata di un apparato istituzionale per la tutela e l’attuazione delle sue norme prescrittive non solo di natura giuridica, ma anche morale, etica e teologica.E’ in questo contesto che la shari’a per gli Stati islamici, in linea di principio, si pone come norma superiore anche a quelle costituzionali e viene assunta come legittimazione del potere temporale.Il sistema del diritto islamico appare connotato da un “diritto apicale comune” superiore a quello dei singoli Stati islamici. In questa prospettiva, la shari’a non è una legge, un codice, un decalogo, una tavola, un documento, ma un vero e proprio sistema di valori che trascende il diritto, le diversità etniche, i luoghi, i tempi. La shari’a rappresenta la base di ogni organizzazione istituzionale, di ogni ramo del diritto, di ogni politica, anche di ogni costituzione e, pertanto, è il momento fondante di coesione di un intero popolo (Umma) che prescinde dalla sua appartenenza ad una nazione o ad un’altra. La shari’a è, dunque, ‘legge’ religiosa in generale che governa ogni situazione nella comunità musulmana nella sia interezza.Le regole giuridiche che derivano dalla shari’a e dal fiqh islamico coprono tutte le forme dell’attività sociale: disciplinano l’acquisto di beni, la vendita, la locazione, il pegno e l’imposizione fiscale; regolano gli strumenti per contrastare i criminali, le relazioni familiari e i legami di parentela in materia di matrimonio, di divorzio e di filiazione, così come i rapporti a essi collegati, come la successione. La shari’a ha la particolarità di essere contemporaneamente regola religiosa e regola di vita che incide inevitabilmente sull’individuo parte dell’Umma. Essa ‘governa’ l’individuo in quanto musulmano, ovunque si trovi, e non in quanto cittadino di questo o quello Stato. Infatti, generalmente, quando i Paesi musulmani approvano le loro costituzioni, pur ricalcando le Carte occidentali, nella gerarchia delle fontitroviamo sempre la shari’a, che non garantisce la pari dignità degli individui secondo gli standard occidentali, ma unicamente in base alla appartenenza o meno all’Islam.Come afferma una delle menti giuridiche più raffinate del mondo culturale, accademico ed istituzionale egiziano, Tàriq al-Bishrì, sussiste un rapporto di sostegno fra la religione e il diritto nell’Islam. L’intreccio fra religione, morale e diritto è componente specifico e ineludibile del pensiero islamico.Chiedo a me stesso, alla luce di quanto sino ad ora esplicitato, come si possa conciliare la connaturale immutabilità della dottrina religiosa e delle sue prescrizioni con la fatale modificabilità delle norme giuridiche i cui caratteri, come afferma il prof. di Plinio, di storicità e relatività hanno come immediati corollarila mancata esistenza di un diritto paradigmatico, standardizzato ed eterno, e la contemporanea ed ineluttabile presenza di una variabilità sincronica, ossia spaziale, e diacronica, ossia temporale, che governa il fenomeni giuridici. Non esiste “il” diritto, ma “i” diritti, intesi come sistemi giuridici storicizzati, ciascuno dei quali trae la sua legittimazione, la sua configurazione, la sua coerenza interna, la sua stessa ragione di essere dall’assetto storicamente strutturato, anche a livello socioeconomico,della società.La superiorità dell’elemento metafisico su quello giuridico comporta la soggezione al diritto musulmano del credente in quanto tale, indipendentemente dalla sua appartenenza ad uno Stato. Da qui anche la diversità più profonda del diritto islamico rispetto all’idea laica di tipo europeo del diritto come emanazione del potere sovrano: poiché il potere sovrano spetta a Dio, in certi casi, viene meno anche ogni distinzione tra norme giuridiche e norme morali.La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo quando è stata compulsata a giudicare in merito all’applicazione della shari’a all’interno dei singoli ordinamenti statuali della Unione Europea (sentenze 31.07.2001 e 13.02.2003 - Grande Camera - sul noto caso Refah Partisi), ha dichiarato che i principi enunciati nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo non consentono alcun ingresso a siffatta legge, in ragione del carattere personale e confessionale dell’ordinamento sciaraitico, che esproprierebbe il ruolo statale di regolazione della vita sociale, introducendo distinzioni tra gli individui fondate sulla religione.La shari’a è dunque contraria al principio irrinunciabile di unità legislativa e giudiziaria dello Stato. In particolare, nella decisione della Grande Chambre, la Corte ha dichiarato che la shari’a è incompatibile con i principi fondamentali della democrazia.Mentre il secolo passato ha assistito alla lotta tra due concezioni ideologiche politiche, economiche, costituzionali ed istituzionali, il secolo presente è destinato a vedere lo scontro tra due visioni del costituzionalismo: quello secolare e quello teocratico.