Con le fattezze della vincitrice del premio Oscar Shelley Winters, Ruth Forrest è una ricca vedova di origine americana che, ma i ripresasi dalla morte accidentale della figlioletta, caduta dalle scale mentre tentava di scendere scivolando sul corrimano, diventa una fonte di denaro per il signor Benton alias Ralph Richardson, spacciatosi per medium, e i due domestici, che inscenano insieme a lui delle sedute spiritiche finalizzate ad entrare in contatto con la piccola.
Accade in Chi giace nella culla della zia Ruth? (1972) di Curtis Harrington,
Guardando in parte ad Alfred Hitchcock, una sorta di moderna rilettura della fiaba di Hansel e Gretel destinata ad evolversi con la donna che, organizzato come ogni anno un party di Natale all’interno della propria abitazione per accogliere i bambini di un orfanotrofio della provincia, decide di tenere con se una di essi in quanto molto somigliante alla defunta; senza tenere conto del vivace fratello della ragazzina, che, penetrato nella casa, vede nella signora Forrest una strega da eliminare.
Mentre la bella fotografia per mano di Desmond Dickinson provvede a valorizzare nella giusta maniera la ricca varietà cromatica sfoggiata dalle scenografie e dai costumi di uno dei migliori lavori del compianto autore de I raptus segreti di Helen (1971) e Il cane infernale (1978), grondante immagini di bambole e manichini dall’aria quasi minacciosa e, continuamente avvolto da un certo clima di mistero, destinato a generare riflessioni su quanto possano essere pericolosi i più o meno incoscienti modi di agire di determinati rappresentanti dell’universo infantile.
Ma, passando al filone eco-vengeance, comprendente le pellicole incentrate su animali assassini,
Ne è protagonista Suzanna Leigh nei panni della pop singer Vicki Robbins, la quale, andata a curarsi l’esaurimento nervoso nella quiete delle isole Seagull, scopre che il suo ospite, il taciturno signor Hargrove interpretato da Guy Doleman, alleva insieme ad un amico una specie rarissima e molto aggressiva di api.
Con la conseguenza, ovviamente, della rivolta delle stesse contro gli esseri umani, che cominciano ad eliminare man mano che risulta sempre più chiaro che sia l’uomo, ancora una volta, artefice e vittima del proprio destino.
Nel corso di circa ottanta minuti di visione che, con incluso nel cast Frank”La chiave”Finlay, vanno ricordati soprattutto per aver anticipato il catastrofico filone degli insetti dal pungiglione killer su celluloide, in voga nel decennio successivo grazie a titoli del calibro di Bees: lo sciame che uccide (1976) di Bruce Geller e Swarm (1978) di Irwin Allen.
E le sequenze in cui le api sono chiaramente sovrapposte ai volti delle loro vittime riescono ancora a trasmettere in maniera ingenua un certo brivido, nonostante l’effetto datato e decisamente poco speciale.
Francesco Lomuscio