Terra visitata e mai curata, terra al limite, da dove tutto comincia e da dove tutto finisce.
Gente dal cuore di “terra” che lavora la terra, uomini dal volto segnato dal tempo, “adoratori più o meno consapevoli dello Stato”, talvolta tirannico e di cui spesso sono vittime . Gente fedele alle tradizioni, dalla lunga memoria e dalle ‘’straordinarie’’ storie, uomini che guardano al futuro tendendo la mano al passato, apparentemente primitivi ma dal cuore grande, cantori instancabili di un tempo lontano e quasi dimenticato.
Non a caso Tomasi di Lampedusa parlò della Sicilia in questi termini in “Sicilia tutto cambia affinché nulla cambi’’. Poiché se da un lato i Siciliani abbracciano il cambiamento, dall’altro essi stessi tendono ad ostacolarlo temendo la perdita irreversibili di tradizioni ed abitudini secolari.
E ancora una volta senza troppo rumore ci si dimentica della Sicilia che sovviene alla comune memoria solo quando si cita la parola “Mafia” e allora mediante un articolato excursus ci si ricorda dell’Umile Italia, la materna terra che continua a piangere i figli perduti.
La Sicilia appare così “portata sulle spalle dell’Italia” come un pesante fardello e in quanto tale sfugge alla sua vista. Eppure nel 1946 Fu proprio questa terra circondata e prigioniera del mare a portare avanti quel processo di autonomizzazione che la condurrà alla proclamazione della propria autonomia. E indubbiamente non fu una concessione derivante da un eccesso di bontà ma da una dimostrazione pratica della reale esistenza di una “testa” siciliana che dice ciò le pare giusto e non ciò che le garantisca il quieto vivere.
E la “beddra Trinacria” citata da Dante, esaltata da Omero ed ammirata da Goethe; scenario di mitiche vicende, Impressa nel cuore di chi ha combattuto per estirparne i mali che da sempre l’affliggono, viene a poco a poco ingoiata dal mare, aggrappandosi a fatica a quelle promesse che a poco a poco paiono cadere nel nulla ma che rimangono pur sempre nutrimento per i Siciliani.