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La signora-bene

Da Andreapomella

La signora-beneDopo aver a lungo trascinato i tacchi sul marciapiede di sinistra, ancheggiando in ricordo della bella gioventù dorata, la signora-bene si imbatte in qualcosa che cattura la sua attenzione. La signora-bene è appena uscita dal parrucchiere salutando con voce spavalda, si fa forza del fatto che nel quartiere la conoscono tutti. La cosa sta lì, appoggiata per terra, in un angolo del marciapiede. Lei si ferma, un’occhiata di qua e un’occhiata di là. Di colpo è diventata guardinga, ha un fremito in punta di labbra, è un’occasione indimenticabile. La cosa è una borsa da donna in velluto blu, con tutta probabilità il risultato di uno scippo. Non è che uno, del resto, si perda una borsa da donna per la strada. Ma adesso non è il momento di fare supposizioni, la signora-bene si inginocchia al cospetto del corpo del reato, solleva un lembo della borsa con un’unghia, sbircia dentro, poi si fa più decisa, la apre, la rovescia, ma per un dispetto del destino la borsa è desolatamente vuota. Allora, ecco, si scuote, vede che qualcuno la sta osservando dall’altra parte della strada. L’accusa è servita: “Sono dei criminali!”, inveisce. “A quella poveretta non hanno risparmiato neppure i documenti”. Si ricompone, la signora-bene, dal fuoco dell’indignazione. Con una mano si aggiusta il monumento ai capelli che gli hanno appena eretto sulla sommità della testa. Affretta il passo.


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