“La signora degli scarafaggi” e altri 22 racconti di Thomas Disch
aprile 19th, 2011 § 2 commenti
La signora degli scarafaggi e altri 22 racconti
Thomas Disch
Urania Blu, 1984
273 pagine, 3500 lire
Ho deciso di leggere questa raccolta di racconti su imbeccata del padrone dellaMalpercasa e di alcuni suoi noti frequentatori; l’ho cercata, invano, sulle bancarelle dell’usato, e alla fine l’ho comprata da un utente su aNobii.
L’ho letta con una certa calma, e una volta finita mi sono reso conto che, al solito, faccio parecchia fatica a recensire le raccolte di racconti: spesso la disparità qualitativa delle storie mi mette in difficoltà, quando giunge il momento di tirare le fila e dare un giudizio univoco.
Cosa dire di questa raccolta, quindi?
In linea generale Disch, di cui non avevo letto nulla prima, mi è parso autore con un mucchio di idee interessanti e varie. Dei 23 racconti qui riuniti, i miei preferiti sono forse quelli in cui l’elemento surreale si innesta su un’ambientazione realistica. È il caso di Scendendo e delle sue infinite scale mobili, o della vita militare di 1-A.
Altrettanto riuscite mi sono parse anche le incursioni in una forma che definirei favolistica, come nell’odissea elettrodomestica del Bravo piccolo tostapane, o nell’antropomorfismo degli Uccelli.
Quando invece Disch preme l’acceleratore su materiali e idee ancor più sperimentali, i risultati sono a mio avviso altalenanti: se la “pubblicità regresso” diDivertitevi con la Vostra Nuova Testa è spettacolare nella sua follia, la mitologia modernizzata di Apollo mi è parsa invece un po’ debole.
Ad abbassare un po’ la media sono stati anche alcuni racconti che ho trovato davvero poco convincenti: il lacrimevole Piume dalle ali di un angelo, e così pureX-Yes e La stanza vuota. Da questi momenti poco ispirati viene la mia incertezza sul valore complessivo della raccolta, capace di vette eccelse ma anche di qualche caduta fragorosa.
C’è un altro appunto, di carattere più generale e legato alla scrittura, che mi sento di fare. In molti dei racconti Disch ha la tendenza a inserire qualche periodo che suona un po’ sentenzioso, una sorta di commento esplicativo volto a comunicare una qualche verità universale. È un procedimento che rischia di rompere il ritmo del racconto, un tentativo piuttosto maldestro, quando non del tutto fastidioso, di imboccare il lettore, di gridargli in faccia Ehi, sto parlando di questo!, anche quando il questo è già più che manifesto nella narrazione.
Veniamo ora allo stile; i racconti di Disch mi hanno fatto lo stesso effetto di alcune brevi storie di Philip Dick, ossia l’impressione che non sempre l’autore riesca a rendere le proprie brillanti intuizioni in una forma altrettanto interessante.
Com’è ovvio, qui entra in gioco anche la qualità della traduzione, quindi lasciamo il buon Disch a rivoltarsi nella tomba per le mie critiche, e dedichiamo tre parole all’edizione italiana: bava alla bocca. Di rabbia, non di sollucchero.
Ora, io capisco che Urania in quanto collana da edicola avesse, e abbia tutt’ora, caratteristiche peculiari, poco budget a disposizione e tempi di lavorazione stringatissimi. Sopporto quindi l’odiosa impaginazione a due colonne, arrivo anche a sorvolare su un livello di traduzione che non mi è parso eccellente (in alcuni passaggi, non c’è dubbio che la colpa dello stile non irresistibile sia da ascrivere a una resa italiana un po’ tirata via).
Non è però accettabile, neanche per una collana low cost come Urania, che nessuno si sia reso conto che in copertina, quarta e dorso, Disch sia diventato Dish.
Va bene che il prezzo di copertina era di 3500 lire, e che forse si puntasse a un lettore disattento e/o svaccato sotto un ombrellone, ma il nome dell’autore riportato senza errori, almeno quello, mi sembra il minimo sindacale per chiunque si occupi di un libro.
Scusate lo sfogo, ma il nome dell’autore eccetera eccetera, ad libitum…