"La Signora delle camelie" di A. Dumas

Creato il 13 gennaio 2011 da Bens
Durante le vacanze ho spulciato da cima a fondo la libreria di mia nonna, alla ricerca di qualche volume dimenticato (per inciso: io, in libreria, non ci vado praticamente mai. I libri nuovi hanno quella geometrica perfezione nelle linee che davvero non reggo, mentre quelli usati, da sconosciuti generalmente, sono imbrattati da strane macchie chimicamente ignote: i libri li rubo a mia nonna, che da mesi, per esempio, reclama con una certa petulanza "Le memorie di Adriano". I romanzi consumati me li gusto meglio, mi intriga che abbiano una storia parallela a quella che raccontano). Così spulciando, un pomeriggio ho ritrovato, soffocato dal peso di un paio volumi di Hans Kung, "La Signora delle camelie" di Dumas figlio.
Ecco il mio primo pensiero:" Ti ci faccio marcire qui in mezzo, tra "Cristianesimo" ed "Ebraismo", mi ricordo quando ti schiaffai tra questi due capitelli greci di pagine, così da farti percepire l'insostenibile leggerezza della tua nullità culturale". Poi però mi sono sentita in colpa. Hans Kung è pesante sul serio, e non è nemmeno un romanziere, sarebbe stato più giusto, da parte mia, far disintegrare "La Signora delle camelie" tra Nabokov e Kundera. Certo è, che non ha colpa il piccolo Dumas, se dal padre ereditò la metà sbagliata di geni. Tuttavia, la sopravvivenza, nelle nostre librerie, di questo romanzo da uncinetto rimane un mistero per la mia umana finitudine.
Quell'Armando Duval lo avrei preso a calci nel sedere dall'inizio alla fine, lui e quel suo amoretto post-puberale dal moderno livello di emancipazione sessuale. Non è per fare i classisti o i segregazionisti, ma questi amori falliti in partenza per incolmabili disparità sociali, che puntano al riscatto e alla redenzione terrena (ma poi, redenzione di che? la linea tra libera adesione alla prostituzione e altruismo è molto sottile), non mi vanno giù, come Leonardo all'Inter.
E poi lei, Margherita, con quelle camelie bianche o rosse, dipendentemente dal periodino, che all'idea del polline, già starnutisco! Delle coccarde mi avrebbero risparmiato gli spasmi psicosomatici, sacrificando, sfortunatamente, considerevoli quantità di romanticismo profumato alla francese. Ce ne saremmo fatti tutti una ragione. Magari se contestualizzassi la vicenda, al periodo storico di riferimento, ne apprezzerei maggiormente la portata scandalistica, ma sono cresciuta in un paese in pugno al sentimentalismo piazzarolo e monnezzaio della De Filippi al cui confronto la storia d'amore tra un giovinetto e una prostituta assume contorni, addirittura, virginali.
Non vedevo l'ora che morissero tutti, scrittore compreso, ed io, personalmente, avrei anche optato per un'accurata damnatio memoriae, con il rischio di una denuncia per vendalismo: anche la democrazia ha i suoi limiti.
"La Signora delle camelie" è un libretto da ragazzine sciocchine e farfalline, scivolato lesto lesto nel mio personale dimenticatoio, senz'arte né parte, meritevole dell'oblio. B.

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