La sindrome di Hugh Grant
di Daniele Cobianchi
Titolo: La sindrome di Hugh Grant
Autore: Daniele Cobianchi
Serie: //
Edito da: Mondadori
Prezzo: 15.00 €
Genere: Romanzo
Pagine: 180 p.
Trama: Thomas Rimini ha studiato alla Bocconi e lavora nel marketing dei sughi pronti. È bello e brillante, ma… ha quarant’anni: non l’età di mezzo, ma l’età dove sei mezzo. Mezzo adulto e mezzo ragazzo, mezzo sognatore e mezzo disilluso, mezzo innamorato e mezzo in attesa di chissà chi. Così, quando la vita gli chiede da che parte intende stare, Thomas non risponde e si rifugia in un eterno presente, sperando con tutto se stesso che sia il modo migliore per cogliere l’onda giusta. Lascia Marcella, che era pronta a sposarlo, si butta nel lavoro, prende una casa in centro, affina tecniche di seduzione da chef e ritrova i vecchi amici: tutti suoi coetanei, ognuno impegnato ad affrontare i propri fallimenti come può. Non è che Thomas scappi dalle responsabilità: anzi, le brama. È dal compromesso che fugge, dal modello sociale che impone tempi e modi preconfezionati alla sua generazione, cresciuta nel benessere ma spesso incapace di capire cosa vuole. Accade però che la strada scelta da Thomas, quella che sembrava la più facile, improvvisamente s’impenna, e il tracciato inizia ad aggrovigliarsi irrimediabilmente. Daniele Cobianchi ci racconta l’universo dei “quarantenni disperati”, tra separati, depressi e insoddisfatti cronici: una fotografia fatta con Instagram colorata e accattivante, ma aggiustata con un filtro e in realtà un po’ sbiadita. Ne emerge, a sorpresa, un Hugh Grant uscito dallo schermo, pronto a dire la sua verità.
di Danylù
A volte inizi un libro e da subito comprendi che finire di leggerlo è tempo sprecato. Altre volte, lo inizi e seppure dici a te stesso: dai, questo libro è pessimo, non perderci altro tempo, sai, da lettore esperto quale sei, che qualcosa di buono alla fine ti attende.
Così è stato per questo romanzo. L’incipit è stato uno dei peggiori che io abbia mai letto. Lo stile “strafottente” e talvolta carico di erotismo pornografico ostentato, mi ha irritato non poco, eppure, sono riuscita ad andare fino in fondo, come mai? Scorrevolezza… Che in un romanzo è paragonabile alla scioglievolezza nei cioccolatini.
Deve rapirti.
Ebbene, la trama si presenta come una noiosa sequela di fatti banali che accadono nella vita del protagonista, fatta di lavoro, donne, un matrimonio mandato all’aria, amici storici. C’è però qualcosa che serpeggia sotto al filone principale e solo sul finire lo si scopre.
I personaggi sono notevoli. Ben strutturati, fortemente caratterizzati. Si muovono in un contesto molto credibile, in quella Milano da bene, fatta di cocaina, soldi e puttane più o meno consapevoli del loro status. Una società marcia e corrotta, fatta di auto di lusso, spreco e superficialità. Dinamiche da multinazionali, da mafia legalizzata.
L’irritazione iniziale però viene poi sostituita da una certa soddisfazione.
La vita di “Rimini”, del “Jaselli”, del “Pelanda” e di tutti gli altri protagonisti che vengono sempre chiamati per “cognome”, inizia a incrinarsi e allora si comprende tutta la storia, lo stile che muta con la trama, e infine lo scopo dell’autore.
Insomma, un romanzo con dei “contenuti”. WOW! Mi sono detta, forse in Mondadori qualcuno aveva alzato un po’ il gomito? Non che sia un romanzo sull’esistenzialismo, nulla di letterario né didattico, ma nel suo piccolo insegna qualcosa. Il valore della vita prima di tutto, come il trovarsi dinnanzi a una persona amata in fin di vita, possa mettere in secondo piano qualsiasi cosa, anche il licenziamento da un posto di lavoro da seimila euro al mese.La libertà di fare ciò che si desidera e non ciò che ci viene imposto.
Ho trovato significativi molti piccoli particolari. L’ossessione del Pelanda verso un anello di fidanzamento, un oggetto che porta sempre in tasca, per insicurezza, per paura di restare solo, per inseguire una favola metropolitana, il matrimonio e la famiglia socialmente imposti, per superare una delusione. Un semplice oggetto che può rendere un inferno la vita. E poi, non tutto il male vien per nuocere.
Non voglio fare spoiler, ma a volte la vita ha bisogno di “prenderci a schiaffi” per destarci e lasciarci prendere fiato. Anche la perdita di un lavoro prestigioso seppure fatto di apparenze può avere i suoi lati positivi.
Insomma un romanzo da tre stelline, una lettura leggera, ma che non lascia indifferenti.
E comunque l’autore dimostra di saper scrivere in italiano (attenzione, non è scontato eh! Purtroppo molti dei libri che si leggono ultimamente peccano anche solo di questa cosa basilare), e ha un ottimo senso dello show me dont tell! Anche questo, un aspetto quasi inesistente in molti romanzi spazzatura che pare vadano molto di moda ultimamente.
Daniele Cobianchi (Parma, 1970), laureato in Filosofia del diritto all’università di Bologna, vive e lavora a Milano, dove si occupa di comunicazione. Ha pubblicato i romanzi Dormivo con i guanti di pelle (Mondadori, 2013), Il segreto del mio insuccesso (Mursia, 2006) e, in rivista, il raccontoGli occhi di mio padre (La luna di Traverso, Mup, 2007).