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La sinistra antirenziana e quel rischio di finire come Fausto Bertinotti.

Creato il 28 ottobre 2014 da Catreporter79

“Io non riesco a parlare con Rifondazione Comunista, non ci riesco! E’ più forte di me!”

Questo, un passaggio del celebre “j’accuse” di Nanni Moretti alla dirigenza ulivista, dal palco di Piazza Navona, nel 2002.

Un sentimento di rigetto, quello verso Bertinotti, il suo partito e la sinistra radicale nel suo insieme, condiviso da quella più moderata e dovuto a differenze culturali, storiche ed antropologiche inconciliabili che andavano dalla politica economica (ad esempio, il Pacchetto Treu e il suo ventaglio di opzioni liberiste), alla politica estera (la partecipazione dalemiana all’ operazione “Allied Force” contro Belgrado) e che non si sarebbero appianate nemmeno con la successiva coabitazione nell’esecutivo Prodi bis (2006 – 2008), aumentando, anzi, intorno a temi quali il finanziamento delle missioni in Iraq ed Afghanistan (scenari dai quali il centro-sinistra aveva promesso il ritiro in campagna elettorale) od il Protocollo sul Welfare.

Il PDS-DS-PD rispose, negli anni, con una “guerra” senza quartiere al segmento radicale (accusato via via di essere disfattista, filo-berlusconiano, estremista, ecc), culminata con la decisione di correre in solitaria nel 2008 (pur sapendo così di assicurarsi matematicamente la sconfitta), elemento, questo, che contribuì alla sfratto definitivo della falce e del martello dal Parlamento e, di conseguenza, dalla politica che conta ( a pesare, anche l’incapacità di rinnovamento e adattamento di PRC, PDCI, ecc).

Oggi, l’ala “Dem” si sta comportando con Renzi come Bertinotti e i suoi analoghi si comportarono con lei, trovandosi nella stessa posizione di svantaggio e correndo, dunque, lo stesso rischio; non soltanto, infatti, la forza dell’ex sindaco di Firenze risulta maggiore e preponderante, nel PD come nel Paese, ma l’opposizione a quello che si presenta e viene visto come un leader riformista (votato alle ultime consultazioni anche dagli imprenditori e dalle partite IVA) potrebbe cucire addosso alla vecchia guardia l’etichetta di forza superata, come fu per la sinistra più ortodossa, consegnandola in questo modo al declino ed all’estinzione, a poco a poco.

Sul versante opposto, pur essendo il comparto “Dem” una “vocal minority” (come una “vocal minority” era la piazza di sabato), essa è, comunque, un fattore interno al partito (e non più esterno), di conseguenza Renzi non potrà che fare i conti con gli umori della dissidenza, trovandosi nell’impossibilità di metterla alla porta. Questo, a patto che la dissidenza non cada nella tentazione-trappola di una scissione.



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