L’esame di Bruxelles, a quanto pare, ha fatto più male alla sinistra che a Berlusconi. Sul patibolo il condannato è riuscito a levarsi il cappio dal collo per passarlo assai destramente su quello delle opposizioni che assistevano allo spettacolo. Poteva succedere prima se il presidente del consiglio non avesse avuto il problema di tenere insieme la sua maggioranza. All’agenda economica “europea” è arrivato per forza ma ha avuto la forza di arrivarci per gradi, il tempo di riuscire a mettere gli alleati politici di fronte alla realtà e a far loro inghiottire il rospo senza far saltare tutto. I tromboni che hanno a cuore le sorti del paese dovrebbero tener conto di questo elementare dato di fatto, prima di vagheggiare utopiche quanto cervellotiche alternative politiche. Non è cosa da poco, infatti, portarsi dietro in tempi difficilissimi un blocco politico ed un elettorato rimanendo nella sensatezza ed evitare così il naufragio. In caso contrario la bella politica è solo un esercizio auto-consolatorio e fors’anche auto-assolutorio.
Continuano invece gli equivoci di fondo a sinistra. Possono cambiare i nomi, le correnti, le alleanze al suo interno, ma quelli restano. Rimane la dicotomia fra due sinistre, ambedue inutili, ambedue fuori del tempo, l’una comodamente sepolta nel passato, l’altra comodamente fuggita nel futuro. Rimane per aria quella sintesi mai avvenuta fra tradizione ed esigenze dei tempi che è buona parte dell’arte della politica, e che il veleno della “questione morale” – l’albero si giudica dai suoi frutti – congela da decenni. Il programmino di Bruxelles non poteva essere fatto suo dalla sinistra, evidentemente. Avallarlo significava prendere in giro se stessa e l’opinione pubblica. Ma l’isterica alzata di scudi sulla questione dei licenziamenti, l’assenza generalizzata di qualsiasi ragionata risposta, ha evidenziato plasticamente, una volta di più, come l’invocato “riformismo” a sinistra abbia vita durissima.
In questi anni l’impostura del “partito democratico” ha fatto crescere a dismisura l’area antagonista alla sua sinistra. Eludere con un grande balzo in avanti la questione socialista, che è la vera questione morale in cui si dibatte la sinistra italiana, è stata una furbizia che non ha risolto un bel niente. Sperare che i compagni si allineassero tutti al nuovo corso e che col tempo gli irriducibili facessero idealmente la fine dei trotzkisti dei tempi di Stalin mostrava solo che la mentalità comunista non aveva del tutto tirato le cuoia. Un po’ alla volta il PD è tornato a cuccia. Anni di flirt con un liberalismo libresco e astratto, e con un certo ammuffito establishment con il quale si sperava di cooperare nella cacciata dell’outsider Berlusconi per poi dividere il bottino di guerra, sono stati velocemente mandati in soffitta sotto l’incalzare della crisi economica. A Kennedy od Obama il partito democratico di casa nostra ha preferito il marxismo romantico di Vendola e il giustizialismo di Di Pietro, pretendendo nello stesso tempo di allearsi tatticamente col “centro”.
I “rottamatori” non sono che un prodotto di questa schizofrenia. Non abbiamo motivi per non credere alla loro buona fede. Ma il fatto stesso di tirar fuori dal cilindro l’idea della “rottamazione” dimostra come a sinistra, caratteristicamente, il cambiamento continui ad esser concepito solo in termini sbrigativi di rottura, di “repulisti”, e quindi di colpevole oblio, anche da chi guarda in avanti. Ammesso, con qualche scetticismo, che le idee espresse da Renzi siano profondamente radicate in lui, è pacifico che sono condivise solo da un’infima parte dell’elettorato di sinistra, e lo sarebbero ancor meno quando si dovesse uscire dall’alone mediatico per fare sul serio. Con minor calcolo, è lo stesso errore di chi pensò di fondare il partito “democratico”. Sempre che il sindaco di Firenze a sinistra voglia restare. La sinistra, per il bene dell’Italia, ha bisogno di essere unita in una piattaforma socialdemocratica e tirata fuori dalle secche dell’antiberlusconismo. Non è impossibile, ma è impossibile se non ripensa alla propria storia e alle proprie epurazioni. Sennò continua ad essere trincerata nel passato. Quando non scappa nel futuro. E nel presente non c’è mai.
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