Sacrificio - Affresco dal Tempio di Palmira, III secolo d.C.
Tra il XIX e il XX secolo, la Siria godette di un posto d’onore all’interno dello studio della storia dell’arte dell’Impero Romano d’Oriente: nella visione ottocentesca, rappresentava l’innovazione verso l’arte medievale vera e propria, la rottura con la tradizione classica incarnata invece dall’Egitto.
Certo, erano molti gli indizi che contribuivano a rafforzare questa opinione: la scoperta del castello siriano di Marqab, in realtà fortezza militare musulmana, ma attribuita all’epoca del ritrovamento addirittura al III secolo d.C.; gli affreschi del battistero di Dura Europos, riemersi negli anni ’30 del Novecento, il più antico di cui si avesse notizia; per non parlare degli affreschi della sinagoga della stessa cittadina sulle rive dell’Eufrate, che avevano aperto la strada alle ricerche sull’origine dell’illustrazione biblica. Ma fu soprattutto la scoperta degli affreschi di un tempio dell’antica città di Palmira, con le loro figure frontali che ricordavano così da vicino i grandi mosaici bizantini di Ravenna, a consacrare la Siria come laboratorio d’origine dell’arte medievale, come sede di quello che venne chiamato l’”espressionismo tardoantico”.
Questo fece sì che l’impronta della Siria venisse vista nelle opere più svariate delle epoche più diverse: nel cromatico ed espressivo Codice Purpureo di Rossano di VI secolo, nelle dame di stucco in processione di Cividale del Friuli di VIII secolo, fin negli affreschi di San Vincenzo al Volturno di IX secolo e in quelli drammatici di Sant’Angelo in Formis di XI secolo. Ipotesi in realtà molto fumosa.
Gli Evangelisti Matteo e Giovanni - Vangeli di Rabbula, Siria, VI sec. - f. 9v.
Il ruolo di caposaldo e di propagatore dell’arte della Siria cristiana di VI secolo venne assegnato ai cosiddetti Vangeli di Rabbula. Suscitarono grande entusiasmo quando furono scoperti nel 1738 dal monaco benedettino Bernard de Montfaucon (il fondatore della paleografia). All’epoca il codice fu considerato proveniente dalla Mesopotamia, ma oggi si è riusciti a scoprire che fu composto nel monastero di San Giovanni a Zagba, poco distante da Antiochia, verso il 586 d.C., o meglio, l’897 dal regno di Alessandro Magno, secondo il sistema usato in Oriente.
Si tratta di un codice scritto in Siriaco, un dialetto dell’Aramaico, che comprende i quattro Vangeli ridotti in un unico testo (Peshitta). Prende il nome dal monaco Rabbula, che terminò il lavoro di copiatura del testo, come dimostra una nota in cui dice di aver scritto da solo il codice, e in cui raccomanda al lettore di pregare per Giovanni, Damiano e Cristoforo, probabilmente altri amanuensi. Questo codice divenne subito celebre non per il testo, ma per le anonime miniature, rilegate da sole (caso unico) in 14 fogli, tanto che vennero copiate già nel 1742.
L'Elezione di Mattia - Vangeli di Rabbula, Siria, VI sec. - f. 1r
Fu a lungo considerato un capolavoro, e molti si affannarono a scovare la sua influenza nell’arte di mezzo mondo.
Il problema è che, per essere un modello così noto e copiato come si pretendeva fosse, questo manoscritto presentava più di un’anomalia. Anzitutto, in epoca medievale non se ne trovano praticamente tracce, fu ignorato perfino da Lorenzo de’ Medici; poi, il suo stato di conservazione non lascia trasparire nessuna particolare cura o venerazione, anzi, venne perfino danneggiato e l’inchiostro di una delle miniature venne raschiato via per inserire le note di possesso. In secondo luogo, l’ordine in cui troviamo sistemate le miniature è alquanto bizzarro, e non segue un ordine logico: non inizia con il Vangelo di Matteo, ma con un episodio degli Atti degli Apostoli, l’elezione di Mattia in sostituzione di Giuda, e finisce con la Pentecoste. Quest’ordine, noi non lo ritroveremo mai più, in nessun codice, né dell’Oriente, né dell’Occidente.
Crocifissione e Resurrezione - Vangeli di Rabbula, Siria, VI sec. - f. 13r.
Oggi, con i moderni strumenti di indagine di cui disponiamo, possiamo finalmente scoprire se le cose stessero davvero come immaginavano gli studiosi dell’Ottocento.
Anzitutto, le miniature sono state create da due diversi pittori: lo si nota dal fatto che alcune figure sono frontali e semplici, altre ellenizzanti e raffinate. Nell’insieme, comunque, la qualità sembra essere piuttosto bassa. Le architetture sono tracciate in modo alquanto rozzo, le pennellate sono molto imprecise, le figure tradiscono continui ripensamenti: in particolare, la pagina con le scene della Crocefissione e della Resurrezione contiene molte parti non originali, errori anatomici e ritocchi vari. Piccolo particolare: le pergamene sono sporche a causa delle tracce di colore provocate dal contatto tra le pagine, ma ci sono anche macchie che non corrispondono a quelle della pagina opposta, e che suggeriscono sgocciolature di pennello, segno di un pittore piuttosto trasandato. Tutto sembrerebbe suggerire la mano inesperta di un apprendista.
La mano più raffinata sembrerebbe essere sopraggiunta in un secondo momento: le fotografie a raggi ultravioletti, a raggi infrarossi e a colori falsati hanno rivelato ridipitture posteriori, sia nello sfondo, sia nelle figure. Non si è trattato di un ripasso generale, ma particolareggiato, dove addirittura i contorni delle figure sono stati ricalcati, forse perché sbiaditi. Di più, la barba e i capelli in alcune immagini del Cristo appartengono proprio a questa fase di ridipittura. All’epoca della prima versione delle miniature, infatti, il Cristo veniva rappresentato senza barba, sul modello del sapiente pre-cristiano, secondo un’iconografia molto diffusa a quel tempo. Contemporaneamente, però, si era diffuso il tipo del Cristo barbato e con i capelli lunghi derivante dall’icona del Mandylion, e forse le tavole furono ricalcate proprio facendo riferimento a quest’ultimo tipo.
Cristo fra quattro monaci - Vangeli di Rabbula, Siria, VI sec. - f.14r.
In conclusione, sembra che ci troviamo di fronte al manoscritto più costoso e di rappresentanza di un monastero siriano non ricco, che mischia riferimenti all’arte dell’Antichità con gli esperimenti di un apprendista. Una testimonianza di valore inestimabile sull’arte della Siria cristiana di VI secolo, sì, ma non certo un capolavoro copiato in tutto il mondo come pretendevano gli storici dell’Ottocento.
Bibliografia:
Massimo Bernabò, Il Tetravangelo di Rabbula: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Plut. 1.56; l’illustrazione del Nuovo Testamento nella Siria del VI secolo, a cura di Franca Arduini, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2008.