Karl Rahner
La Sofistica è l’antimetafisica per eccellenza dell’antichità greca (V sec. a. C.): essa è caratterizzata da un forte antropocentrismo, accompagnato da un soggettivismo relativistico e termina nel nichilismo metafisico, logico e morale.
Padre Battista Mondin, trattando la Sofistica greca del V secolo a. C., non esita a parlare di “svolta antropocentrica della filosofia”, la medesima svolta antropocentrica che padre Cornelio Fabro ha notato nel neomodernismo e specialmente nella nouvelle théologie di Karl Rahner.
Giovanni Reale (I problemi del pensiero antico dalle origini a Platone, Milano, Vita & Pensiero, 1972, pp. 232-233) divide la Sofistica in tre parti:
- 1°) la prima Sofistica relativamente moderata (Protagora e Gorgia);
- 2°) la seconda Sofistica più radicale (Prodico, Ippia, Antifonte), che è la pura e sterile arte retorica del contendere senza oggetto;
- 3°) la terza Sofistica parossistica (Crizia, Trasimaco e Callicle), caratterizzata da uomini di potere politico, i quali teorizzano un amoralismo che sfocia nel disprezzo della legge costituita.
Vedremo come molti temi introdotti cinque secoli prima di Cristo dalla prima Sofistica moderata (Gorgia e Protagora) saranno ripresi dalla filosofia moderna immanentista e soggettivista, mentre quelli dei Sofisti radicali ed estremisti (seconda e terza Sofistica) saranno ripresi dal Nichilismo post-moderno e contemporaneo (Nietzsche, Marx, Freud), dalla Scuola di Francoforte e dallo Strutturalismo francese.
“Oggi il principio non è più l’essere, ma il nulla e il nichilismo costituisce il carattere dominante della nostra epoca” (B. Mondin, Manuale di filosofia sistematica, Bologna, ESD, 1999, vol. III, Ontologia e Metafisica,p. 365).
L’oggetto della Sofistica non è più cosmologico o metafisico (come nei presocratici), ma antropologico, antropocentrico e immanentistico. I naturalisti presocratici studiavano il cosmo o la natura come principio superiore all’uomo, anche se quasi sempre non meta-fisico o meta-terreno, la Sofistica, invece, riduce tutto all’uomo non socraticamente, nella sua natura finita e contingente, ma come fine ultimo e misura di tutte le cose: la filosofia diventa antropologia e antropocentrismo immanentistico, che fa dell’uomo una divinità.
Socrate in parte, ma soprattutto Platone (Sofista 231 d-e) e Aristotele (Confutazioni sofistiche I, 165 a 21) sono stati i metafisici antisofistici per eccellenza, secondo i quali la Sofistica è l’arte di persuadere gli ascoltatori e non la ricerca filosofica della verità.
La Sofistica si serve di ragionamenti capziosi, formalmente corretti, ma materialmente falsi per offuscare il vero e avvalorare il falso, rivestendolo di apparenze di vero.
La manipolazione odierna dell’opinione pubblica di cui ha parlato recentemente Vladìmir Volkoff era già stata teorizzata dai Sofisti quattrocento anni prima di Cristo.
Il primo filosofo moderno che ha rivalutato positivamente la Sofistica è stato non a caso Hegel (tr. it., Lezioni sulla storia della filosofia, 4 voll., Firenze, 1934, vol. II, p. 6), che faceva dell’Io assoluto, del Pensiero umano il fine e la divinità immanente, proprio come i Sofisti; ma, mentre con l’Idealismo classico della modernità idealistica (da Cartesio a Hegel) l’uomo è il fine assoluto ed è venerato come una divinità onnipotente, con la post-modernità nichilistica (da Nietzsche sino al Nichilismo della Scuola di Francoforte e dello Strutturalismo francese) l’uomo deve essere distrutto, così come il pensiero logico/razionale e l’essere finito ed infinito. Questo è il suicidio della modernità, la quale ha iniziato per divinizzare l’uomo ed ha finito per volerlo uccidere in quanto immagine di Dio.
Padre Mondin ha scritto: «Non più Dio, ma l’uomo è contemplato come creatore della realtà. Hegel è il punto culminante e insuperabile della cultura moderna che parte da Occam: epoca che si consuma nell’ateismo o nichilismo assoluto, come esito dell’antropocentrismo o umanesimo assoluto; o Dio si identifica panteisticamente col mondo, oppure è negato [ateisticamente] o “ucciso” [nichilisticamente] come realtà oggettiva in sé e per sé esistente».
Hegel ha centrato il segno quando ha compendiato la Sofistica nell’antropocentrismo o nella centralità dell’uomo, nel soggettivismo che fa dell’Io l’assoluto o la divinità immanente al mondo. In breve ha visto nella Sofistica la prima tappa della Sovversione intellettuale, morale e spirituale contro la metafisica e la teologia razionale. M. Untersteiner, uno dei maggiori studiosi dei Sofisti greci, riprende la definizione hegeliana della Sofistica e specifica che la Sofistica è un’antenata dell’occamismo nominalista e dell’illuminismo utilitaristico sensista britannico, che riduce la conoscenza umana a pura sensazione senza nessuna razionalità e quindi senza possibilità di conoscere ciò che sta sotto i fenomeni o le apparenze, ossia l’essere. Ma ciò è la distruzione dell’intelletto umano, che per definizione intus legit (legge dentro) le apparenze delle cose materiali e conosce l’essere intelligibile della cosa sensibile, è l’abbassamento dell’uomo ad animale istintivo e la negazione della metafisica. L’apoteosi del “sentimento” tipica dell’idealismo e del modernismo è la caratteristica della Sofistica greca, come riconosce l’Untersteiner.
La retorica è l’arma o lo strumento di cui si serve la Sofistica per ottenere il proprio scopo. Essa si divide in due parti. La prima è la Dialettica ovvero l’arte dell’argomentare, di ben parlare e del contraddire senza badare a ciò che è vero o falso ma solo a ciò che conviene, tramite la quale i Sofisti divengono maestri di tutto e del contrario di tutto. Purtroppo furono loro, nel V secolo a. C., a preparare la gioventù alla vita politica (anticipando il machiavellismo di circa mille anni), la quale è la antenata dell’attuale degenerazione partitica e pragmatica della vera politica o “prudenza sociale”.
La seconda parte della retorica sofistica è la Critica, che viene adoperata per scalzare le fondamenta del realismo della conoscenza, della metafisica, dell’etica naturale. La Sofistica è caratterizzata non solo dall’indifferenza verso il meta-sensibile e il trascendente, ma anche da una vera e propria avversione contro di essi. Quindi non a torto essa è stata definita come “illuminismo greco/antico”, data l’illimitata fiducia che i Sofisti come gli illuministi hanno nella ragione umana.
LA PRIMA SOFISTICA
a) Il relativismo di Protagora
Protagora è il primo e massimo esponente della Sofistica. Visse tra il 481 e il 411 a. C. La sua opera principale è Sulla Verità. Ragionamenti demolitori. La sua antimetafisicità è soprattutto antropologica, antropocentrica, relativistica e soggettivistica. La sua tesi fondamentale è che “l’uomo è misura di tutte le cose”. Egli nega che esista una verità oggettiva e afferma la relatività e soggettività di essa. Platone (Teeteto 166 d) e Aristotele (Metafisica K 6) hanno confutato la tesi antropocentrica, relativistica e soggettivistica di Protagora. Sesto Empirico (Schizzi pirroniani, I, 216) ci spiega che “Protagora ammette solo ciò che appare agli individui e perciò introduce il principio della relatività”. Diogene Laerzio (IX, 51) ci insegna che Protagora affermava: “su ogni cosa ci sono due ragionamenti che si contraddicono tra loro”, quindi su tutto è possibile dire e contraddire, addurre ragioni che si annullano reciprocamente ed in questo anticipa il principio di contraddittorietà hegeliano (tesi, antitesi, sintesi) senza arrivare alla sintesi o alla dialettica, ma restando fermo ad un relativismo agnostico e scetticheggiante.
Egli tuttavia non giunge al parossismo del Nichilismo amorale dei Sofisti politici (Crizia, Trasimaco e Callicle) delle terza Sofistica, ma si ferma alla negazione eraclitea dell’Essere come assoluto, della verità oggettiva e propugna una morale egoistica e utilitaristica (vedi nota n. 17). Il sistema etico di Protagora non è paragonabile al Nichilismo nicciano o anarcoide, ma piuttosto alla morale soggettiva kantiana, la quale nega l’oggettività dell’essere, della verità e della morale, però conferisce loro un carattere convenzionale, autonomo, pratico e utile alla società. Protagora non teorizza il libertinaggio o l’anarchia individuale e sociale, ma è piuttosto un “liberal/conservatore” delle istituzioni convenzionali, le quali postulano una morale soggettiva che aiuti l’uomo a vivere onestamente.
Tuttavia occorre fare attenzione: quando Protagora parla di virtù (“areté”) la intende, come circa mille anni dopo Machiavelli, nel senso di accortezza (“euboulìa”), ossia abilità nel parlare, e non in senso morale o etico come abitudine a fare il bene e fuggire il male morale. La “virtù” quindi è l’abilità nel far prevalere qualsiasi punto di vista su quello opposto.
Dalla svalutazione della verità e della morale oggettiva ne segue immancabilmente il pragmatismo, ossia la ricerca del più utile, del più conveniente, criticata aspramente da Platone nel Teeteto (166 d).
La scienza filosofica sofistica è sganciata dalla verità ontologica o reale e si fonda sulla base dell’empirico e del fenomenologico, anticipando il sensismo britannico del XVIII secolo. Infatti per Protagora l’anima umana è nient’altro che un ricettacolo di sensazioni, come attestano Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, IX, 51) e Platone (Teeteto, 152 a). L’uomo viene ridotto come l’animale a puro sentire e percepire.
In religione Protagora è agnostico ed infatti si è sempre astenuto dal pronunciarsi sull’esistenza o meno della divinità (v. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX, 51). Egli non nega esplicitamente l’esistenza di Dio, ma solo la sua conoscibilità. Quindi il suo non fu ateismo ma solo agnosticismo teologico. Il principio protagoriano dell’homo mensura omnium rerum, però, doveva portare, se esplicitato, a delle conclusione estreme e radicali, che saranno fatte proprie dalla seconda e terza Sofistica.
b) Il Nichilismo metafisico e logico di Gorgia
Nacque a Lentini in Sicilia verso il 484 a. C. e morì ultracentenario nel 375 circa in Tessaglia. La sua opera fondamentale è Della natura o del non essere. Quest’opera di Gorgia viene definita da Giovanni Reale come “il manifesto del Nichilismo antico”. L’antimetafisicità che in Protagora si era espressa abbastanza moderatamente in un soggettivismo relativistico in Gorgia fa un passo innanzi e arriva alle soglie del Nichilismo filosofico, che sarà radicalizzato dalla seconda Sofistica e spinto al parossismo con la terza come vedremo.
Gorgia si prefigge lo scopo preciso di escludere radicalmente la possibilità che Dio esista o almeno la sua dimostrabilità razionale. Il suo, secondo Giovanni Reale, non è un gioco retorico, come ha pensato invece Heinrich Gomperz (Sophistik und Rhetorik, Leipzig-Berlin, 1912, pp. 1-49).
Gorgia, come riporta Sesto Empirico, insegna che “Nulla esiste. Se anche l’essere esistesse sarebbe incomprensibile. Ammesso che fosse comprensibile sarebbe inesprimibile” (Schizzi pirroniani, VII, 65). Come si vede Protagora anticipa di circa duemila anni il Nichilismo nicciano ontologico (“l’essere non esiste”), quello logico/gnoseologico (“l’essere è inconoscibile”) e quello semantico (“l’essere è inesprimibile”), ma non arriva ancora al Nichilismo morale, che sarà la tappa ultima della terza Sofistica.
Quindi per Protagora (v. Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 78-80) esisteva una verità anche se relativa mentre per Gorgia non esiste non solo nessuna verità ma neppure l’essere, che è inconoscibile ed inesprimibile. Gorgia sorpassa nella negazione della verità il suo collega e maestro della prima Sofistica.
Gorgia si rifugia, quindi, nel puro empirismo sensistico, nell’opinionismo soggettivistico e relativistico e nell’etica è il fondatore di quella che sarà chiamata la “morale della situazione”del neo-modernismo. Per Gorgia “i doveri morali variano secondo il momento, l’età, le situazioni sociali, in breve una stessa azione può essere buona o cattiva a seconda di chi ne è il soggetto”.
Parte I
don Curzio Nitoglia