La soluzione per Balo?   Il prestito al Sassuolo!

Creato il 10 giugno 2013 da Mbrignolo

L’OPINIONE. Mi chiamo Mario Balotelli, e gioco nel Sassuolo. Sì, SuperMario, sono proprio io.
Sono a Sassuolo in prestito, ma dal 1° Luglio tornerò a essere un giocatore del Milan, il club proprietario del mio cartellino. Vi domanderete come ci sia finito in neroverde, dopo il mio girovagare fra Inter, Manchester City e, appunto, Milan. Beh, diciamo che ho pagato per le mie colpe, e dopo questa lunga stagione devo dire che mi è servito molto.
Ma andiamo con ordine.
Ricordate nel giugno 2013? Quell’espulsione contro la Repubblica Ceca con annessa la stupida reazione immortalata dalle telecamere? L’ho pagata a caro prezzo.
In quei giorni, infatti, la UEFA, con il placet della FIFA, ha ratificato una normativa rivoluzionaria nel mondo del calcio e della sua condotta antisportiva: qualsiasi calciatore tesserato che si fosse visti recapitare più di dieci cartellini gialli e due espulsioni nel corso della stagione, quella successiva avrebbe dovuto disputarla in prestito in un club neopromosso nella medesima categoria di quello di appartenenza.
Ecco quindi che, terminata la Confederations Cup con l’Italia, ho ricevuto da Mino Raiola, il mio ex procuratore, la notizia che il sottoscritto entrava pienamente nei criteri inseriti in questa norma: l’anno scorso, infatti, ho ricevuto 10 cartellini gialli in stagione, sono stato espulso con la Repubblica Ceca e, pur non ricevendo il rosso, sono stato squalificato per tre giornate per le ingiurie all’arbitro negli spogliatoi di Firenze.

Al momento sono rimasto scioccato. Io, Mario Balotelli, da molti considerato fra i più grandi prospetti del calcio mondiale, obbligato a giocare nel Sassuolo, la squadra di un borgo emiliano che mai aveva visto la Serie A?! Ho pensato di smettere, di mandare tutti a quel paese, di scappare via.
Poi mi ha chiamato Eusebio Di Francesco, l’allenatore di questa squadra. Lui ha giocato nella Roma negli anni ’90, si percepiva che di calcio qualcosa ne capiva: mi ha conquistato. Mi ha colpito per la semplicità con la quale mi ha parlato, non mi ha trattato come un campione nè come un “bad boy”, mi ha detto: “Vieni da noi, ti diverti, contribuisci alla nostra salvezza, e poi torni al Milan riemerso dal fango di cui ti sei ricoperto”.
Giocare a pallone è troppo bello, è la mia vita, e lo avevo dimenticato: troppe pressioni, troppi titoli di giornali, troppa poca privacy, e io che sentendomi al centro del mondo una ne pensavo e cento ne combinavo.
L’inizio non è stato semplice. Nonostante la mia presenza e una squadra unita, eravamo pur sempre una neopromossa: di occasioni per fare goal non ne capitavano molte, anzi, spesso sono stato costretto a ripiegare in difesa per dare una mano ai miei compagni. Non ho mai corso tanto quanto questa stagione! L’impatto con la Serie A per il club è stato brusco e nelle prime giornate abbiamo racimolato pochissimi punti. Naturalmente la stampa mi ha dato contro, sottolineando come non riuscissi a fare la differenza nemmeno in un club che lottava per la salvezza, ma in cuor mio sentivo che quel bagno di normalità sarebbe stato un’arma vincente. Ho perso anche la Nazionale: nell’anno del Mondiale, fino a gennaio, Prandelli non ha potuto fare altro che tenermi fuori vista la mia scarsa vena realizzativa. Nel Sassuolo, però, sono riuscito a isolarmi da tutto: questa è, infatti, una zona tranquilla, le persone non sono invadenti, lavorano sodo per ricostruire la propria vita dopo il terremoto di qualche tempo fa e al campo vengono tanti bambini a cui sono felice di regalare un sorriso grazie a un autografo o a una fotografia. Non mi sono mai intrattenuto così tanto con i tifosi e ho capito quanto importante sia per loro avere un campione cui ispirarsi. Ho pianto diverse volte pensando a quante volte ho dato loro un cattivo esempio di comportamento: in realtà non pensavo di essere così seguito. E forse nemmeno così stupido!
Ho cambiato anche procuratore. Con Mino c’era un bel rapporto, gli devo molto, ma pretendeva io recitassi la parte del personaggio anche se mano a mano mi sentivo un ragazzo come tanti. Per esempio, secondo lui avrei dovuto rinunciare tante volte a una pizza con i compagni (dopo una settimana di duri allenamenti affrontati insieme!) per prendere la macchina e dirigermi in Corso Como, a Milano, dove c’erano El Shaarawy e gli altri a “fare serata”: in questo modo, secondo Mino, i paparazzi mi avrebbero ritratto in loro compagnia e l’opinione pubblica avrebbe pensato che di me non possono fare a meno, nè al Milan nè in Nazionale. Assurdo!
Il mio agente è ora un procuratore che nessuno conosceva, una brava persona, il classico amico-papà che tutti vorrebbero avere.
Piano piano, poi, la squadra ha iniziato a ingranare, grazie ai gol miei e di Boakye. E’ un ragazzotto anch’egli di colore, prossimo a vestire la maglia della Juventus. Ho legato molto con lui, non solo per il colore della pelle. Grazie a lui ho rivisto il mio atteggiamento nei confronti del razzismo. Mi sono accorto, infatti, che la maggior parte dei fischi che i tifosi mi rivolgevano erano dovuti al timore che le mie doti da calciatore generavano, non al razzismo insito in loro. Per citare un esempio, alla sesta giornata, con un solo punto in classifica, siamo andati a Roma per giocare contro i giallorossi: visti i fischi ricevuti l’anno prima a San Siro da parte loro, pensavo a un’ondata di insulti a sfondo razziale, e invece nulla, indifferenza totale. Richmond (Boakye) mi ha detto: “Vedi? Siamo ultimi in classifica, sono convinti di batterci facilmente, non ti temono e quindi non ti fischiano”. Ho segnato il gol del vantaggio a dieci minuti dalla fine, e in quei dieci minuti hanno ripreso a fischiarmi come accaduto a Milano. Aveva ragione Boakye. Non dico che il razzismo è stato debellato dagli stadi, ma ho capito che da solo posso solo mostrarmi indifferente verso quei poveretti, mentre è stato bello quando in una trasferta a metà stagione la mia squadra si è rifiutata di proseguire la partita dopo che dei fastidiosi ululati erano stati indirizzati a me e al mio compagno di reparto.

Alla fine abbiamo conquistato una meritata salvezza, colta all’ultima giornata grazie a un mio gol. Non pensavo che conquistare questo traguardo potesse darmi una gioia simile: io che pensavo al Pallone d’Oro senza nemmeno conoscere le mie reali qualità, umane prima che tecniche.
Giocare nel Sassuolo è stato splendido, a prescindere di come sia andata. Ho ricevuto due soli cartellini gialli, entrambi per due falli tattici: lottare per la salvezza significa anche questo d’altra parte.
Fra poche settimane riprenderò la strada che avevo interrotta: Milanello mi attende, o meglio, attende un nuovo Balotelli. Prima però il nuovo Balotelli si deve mostrare a tutto il mondo: ho riconquistato la Nazionale e mi piacerebbe tanto portarla sulla vetta del calcio. Se non accadrà pazienza, ci riproveremo fra quattro anni, ma l’obiettivo è quello di dare il meglio che ho. Il meglio del miglior Balotelli.


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