La sorgente della discordia: un comune e un privato ai ferri corti

Creato il 20 agosto 2012 da Ilnazionale @ilNazionale

20 AGOSTO– Promette sorprese la battaglia legale che, in questi tempi, contrappone un comune dell’alto veronese, Negrar, a un’agguerrita signora, L.B, e che vede quale oggetto del contendere l’accesso ad una sorgente. Condannata in primo grado, la proprietaria del terreno sul quale si trova la fonte ha già deciso di ricorrere in appello per vedersi riconosciuta la piena concessione all’utilizzo della falda. “Sette anni fa –afferma- ho chiesto ed ottenuto la concessione dal demanio per l’utilizzo dell’acqua della sorgente che sorge sul mio terreno. I contadini, che avevano costruito molti anni prima dei depositi sulla sorgente stessa, avevano anche posizionato abusivamente dei tubi che portavano via l’acqua per deviarla verso le loro proprietà”.

Fin qui sembra una storia di beghe tra vicini come se ne vedono tante. Ma la faccenda assume presto contorni poco chiari. “Dato che da molti anni restavo tutte le estati senza acqua per il mio terreno e le piante morivano, ho presentato molte denunce al Genio Civile, al Comune, ai Carabinieri e alla Procura della Repubblica. Nessuno ha risposto o se ne è interessato. Dopo aver ottenuto il nulla osta dalla Forestale regionale, ho fatto venire un muratore che ha scoperchiato il manufatto e, con un badile e un secchio, ha tirato via la terra che impediva agli zampilli di fluire. Ha poi chiuso i tubi messi dai contadini e da allora l’acqua c’è”.

Ma il comune di Negrar, non contento dell’operazione, ha denunciato penalmente la proprietaria della fonte in quanto la concessione al privato sarebbe parziale, di qui l’illegittimità di un atto che comportava la chiusura delle tubature poste dagli altri contadini. Il Genio Civile, da parte sua, ha confermato che la concessione è piena e si è rifiutato di revocarla al privato per attribuirla al comune. Da quest’ultimo, allora, è partito un ordine di sequestro preventivo della sorgente. Il Pubblico Ministero, alla discussione in aula, ha proposto l’assoluzione dell’imputata perché il fatto non sussiste ma, nonostante ciò, il giudice l’ha comunque condannata per il delitto di cui all’art. 181 comma 1-bis del d.P.R. 42/2004 (articolo che, inserito nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, introduce la figura del delitto paesaggistico nel caso in cui i lavori abusivi siano stati eseguiti su aree o immobili di notevole interesse pubblico, ovvero su aree tutelate per legge, comportando volumetrie superiori a determinate soglie). Si legge infatti nella sentenza che: “senza la prescritta autorizzazione dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, L.B. eseguiva o faceva eseguire gli interventi di modificazione dello stato dei luoghi descritti nel precedente capo d’accusa, in area sottoposta a vincolo paesaggistico (…)”.

Un primo errore evidenziato dalla proprietaria del terreno sul quale si trova la fonte riguarda il fatto che il giudice veronese fa riferimento a un mappale diverso da quello sul quale effettivamente insiste la sorgente. Un aspetto, questo, che indica come egli si sia attenuto, senza particolari verifiche, all’erronea indicazione contenuta nella denuncia presentata dal comune. “Io ho ricevuto dal comune il permesso in sanatoria pagando quanto richiesto –continua l’agguerrita L.B.- come pure ho ricevuto dalla Sovrintendenza il parere favorevole, essendo stata accertata la compatibilità paesaggistica da parte dell’autorità amministrativa competente. Questo perché la manutenzione straordinaria da me compiuta era volta unicamente a ritrovare gli zampilli della sorgente che erano stati esauriti dai prolungati furti d’acqua, ma non portava alcun danno all’ambiente”.

Proprio su questo punto, però, interviene il tribunale penale di Verona affermando che “la particolarità del bene giuridico protetto dalle norme in tema di tutela del paesaggio ha indotto il Legislatore ad imporre al privato di ottenere dall’autorità competente una singola preventiva valutazione dell’impatto sul paesaggio, da acquisirsi prima dell’esecuzione di ogni intervento che incida sullo stesso (…)”. In altre parole, neppure l’ottenimento del nulla osta forestale basterebbe a esimere da responsabilità la proprietaria della fonte, perché il nulla osta fa espressamente salve le competenze delle altre autorità amministrative. Proprio quest’anno, però, sono intervenute in materia importanti novità legislative, soprattutto con il d.l. 5/2012 (decreto “semplificazioni”) convertito in l. 35/2012. La dottrina capitanata da Francesco Magnosi, sulla base di questi ultimi interventi legislativi, afferma che: “Laddove il responsabile della violazione abbia concluso positivamente la procedura di condono, il provvedimento di concessione in sanatoria non può non determinare la cessazione della permanenza anche dell’illecito paesaggistico”. E, continua Magnosi: “(…) Una volta ottenuto il predetto parere, da cui non può prescindersi per il conseguimento del condono, la successiva concessione in sanatoria determina l’estinzione non solo del reato edilizio, ma anche del reato per la violazione del vincolo”. In altre parole, si produrrebbe l’eliminazione contestuale di entrambi gli illeciti, sia edilizio che paesaggistico.

Resta la rabbia della proprietaria della fonte, che insiste nel non aver mai ricevuto alcun riscontro in primis dal comune di Negrar, interpellato negli anni precedenti all’instaurarsi della causa. “Avevo denuciato, tramite raccomandata a.r. al Corpo Forestale dello Stato, il prelievo continuato, con vari mezzi, dell’acqua della sorgente che sgorga sulla mia proprietà e della cui concessione sono l’unica titolare. Tale denuncia l’ho ripetuta, su richiesta dell’ispettore capo De Monti, presso gli uffici della Forestale Nazionale in Verona. A ciò è seguito un sopralluogo di due funzionari che accompagnavano il Genio Civile, i quali hanno potuto constatare di persona l’esistenza degli strumenti posizionati presso la mia sorgente, che da anni permettevano i furti d’acqua di terzi”. Ora, condannata alla pena di otto mesi di reclusione (pena sospesa data la sua incensuratezza e la non allarmante gravità del fatto), si ritrova a dover pagare tutte le spese processuali.

La regola d’oro nello scrivere un articolo giornalistico è quella di dare ascolto a tutte le parti coinvolte in una vicenda, tanto più se questa assume toni giudiziali e, per l’esattezza, penali. La nostra redazione si è impegnata a contattare gli uffici del comune di Negrar, ma non ha –ad oggi- ottenuto alcun riscontro. Restiamo quindi a disposizione per eventuali repliche.

Silvia Dal Maso


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