Mentre la rivolta in Libia viene soppressa nel sangue il governo italiano non muove un dito. Il capobranco dice che non vuole disturbare il suo amico e il ministro degli esteri Frattini preferisce "non interferire per rispetto della sovranità dei popoli". Solitamente un esponente politico di un paese democratico quando usa l'espressione "sovranità dei popoli" sottende una sovranità che è espressione del popolo. Chiunque sano di mente, mediamente intelligente e minimamente acculturato sa benissimo che il caso della Libia non è questo, per cui il ministro Frattini di quale sovranità parla? Di quale popolo parla? Non sarà più chiaro e onesto il ministro se confessa che non vuole interferire, come il suo padrone gli ha imposto, con il sovrano libico? Non sarebbe più chiaro se dicesse che il governo preferisce tenersi buono il tiranno Gheddafi perché freni l'immigrazione in Italia - facendo sparire i profughi nel deserto ma queste sono cose che non preoccupano più gli italiani, l'importante è non avere cartacce davanti al portone di casa - e continui a fornirci quasi un terzo del petrolio e più del 10% del gas naturale che ci serve?
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Nel numero di novembre/dicembre del 2010 di Reset un articolo di Larry Diamond ha dato avvio ad una tavola rotonda sui motivi dell'assenza di democrazia nei paesi arabi, con un tempismo quasi profetico, visto le successive rivolte nell'area mediterranea che ancora a dicembre nessuno poteva prevedere. Diamond mette in guardia dal considerare il fattore religioso quale principale ostacolo all'affermazione della democrazia nei paesi musulmani (arabi e non), infatti si danno molti casi di paesi dove democrazia e islam convivono senza particolari problemi (come India e Indonesia). Nella sua analisi Diamond cerca spiegazioni nella geopolitica e nella struttura economica che non ha fatto altro che rafforzare regimi autoritari preesistenti.
La rappresentanza democratica è il risultato di una partecipazione alla distribuzione di una ricchezza limitata, secondo lo slogan "no taxation without representation". Se la ricchezza di un paese è tale da non rendere necessaria la tassazione, come è il caso dei paesi la cui economia si basa prevalentemente sulla rendita da petrolio, allora cade la motivazione alla rappresentanza democratica e il vecchio slogan si rovescia nella realtà politica in "niente rappresentanti senza tasse". Questo è stato finora il paradigma della mancanza di democrazia nei paesi con enormi risorse petrolifere, come la Libia o l'Algeria (non è il caso dell'Egitto o della Tunisia). Tuttavia, sono molti i fattori che entrano in gioco nelle dinamiche sociali complesse come quelle che stanno investendo l'area mediterranea e la presenza di risorse petrolifere spiega solo una parte del fenomeno. Le recenti rivoluzioni di piazza nell'area mediterranea dimostrano che le risorse petrolifere non sono sufficienti a spiegare i regimi politici ed è evidente che nei paesi ricchi di petrolio qualcosa scricchiola nella distribuzione di ricchezza che ha mantenuto bassa la motivazione alla democrazia - la forbice tra clan al potere e popolo si è fatta troppo ampia per essere assorbita efficacemente nelle forme di riconoscimento sociale che hanno retto finora.
Da parte mia osservo che dei numerosi articoli di Reset che hanno partecipato al dibattito intorno all'articolo di Diamond - firmati da Massimo Campanini, Stefano Allievi, Emma Bonino e Giuliano Amato, tra gli altri -, nessuno mi è sembrato tenesse in debito conto il ruolo, direi attivo, dei paesi (apparentemente) democratici nel frenare lo sviluppo della democrazia nei paesi musulmani - semmai si fa riferimento al timore occidentale che la democrazia nell'islam divenga strumento del fondamentalismo dei fratelli musulmani, Hamas docet, e questo rivela in definitiva quanto i paesi occidentali abbiano paura della democrazia, paura celata sotto le mentite spoglie della prudenza. Lo stesso Diamond sostiene, in maniera del tutto autoassolutoria (ed errata, a ragion veduta) in quanto americano, che l'Iraq potrebbe fare da apripista nella domanda di democrazia nei paesi musulmani, di fatto legittimando la cosiddetta "esportazione di democrazia" perseguita da un governo criminale e sostenuta da alleati altrettanto criminali. Poca o nessuna attenzione viene rivolta al fatto che la democrazia è in sé una struttura di potere complessa, più complessa di un qualsiasi regime autoritario in cui la linea del potere è corta e lineare, contrariamente al 'flusso' di potere diffuso, lungo e ramificato che potrebbe descrivere una democrazia. Solo marginalmente Diamond parla delle "forze esterne" che aiutano i regimi autocratici "a conservare il proprio ruolo" lasciando sottinteso che il motivo del sostegno economico e militare è la domanda energetica dei paesi occidentali ma evitando di dire che un regime autocratico fa comodo proprio alla soddisfazione di quella domanda. In sostanza l'Italia sta dimostrando come per molti paesi occidentali, più attenti ai propri interessi economici che all'affermazione dei diritti, sia molto più facile e redditizio avere a che fare con strutture di potere semplici che fanno capo ad un singolo soggetto anziché avere a che fare con strutture complesse tipiche della democrazia. Quando il potere è concentrato la linea di comunicazione è molto più breve e le trattative sono più rapide. In questi casi le transazioni praticamente volano.
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Preferirei sentirmi dire che bisogna tenere spenta la luce e i riscaldamenti, che bisogna ridurre l'uso delle auto per risparmiare sull'energia che viene dalla Libia anziché far parte di un paese governato da un tizio che appoggia un dittatore che fa bombardare il suo popolo dall'aviazione militare.