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La spada del destino di Andrzej Sapkowski

Creato il 03 agosto 2011 da Martinaframmartino

La spada del destino di Andrzej SapkowskiCosa ti autorizza a parlare di destino? Sai almeno che cos’è il destino?” chiede Eithné a Geralt, sapendo che lui non potrà mai darle una risposta soddisfacente. Lei conosce le Antiche Rune, e sa leggere la scritta incisa sulla coppa di Craag An, dalla quale bevevano sovrani da lungo tempo dimenticati. “La spada del destino ha due lame. Una sei tu”.

E La spada del destino ha lame molto affilate per Geralt di Rivia, ed è pronta a colpirlo quando e come meno se lo aspetta.

Si mantiene su livelli straordinari Andrzej Sapkowski con la sua seconda racconta di avventure di uno strigo in cerca di lavoro. I mostri sono troppo pochi, e a volte, come nel racconto I limiti del possibile, è il proprio stesso codice a impedire un confronto con loro. Così Geralt non può affrontare un drago, anche se è proprio questo ciò che vuole fare Yennefer, la maga da lui amata. La storia inizia come una grande avventura, con personaggi disillusi, eroi improbabili o non poi così scintillanti, motivazioni personali, e si risolve con una svolta imprevista. Perché Sapkowski è bravo, e riesce sempre a spiazzare il lettore, oltre che a catturarlo con la magica rete delle sue parole.

Continuano, nei sei racconti, i riferimenti a fiabe e miti, ma continuano anche le riflessioni sul senso di ciò che ci circonda e della vita stessa. E se spesso Geralt riesce a vedere oltre le apparenze, e a trovare più umanità nei mostri che dovrebbe affrontare che negli esseri umani che lo affiancano, a volte è di una cecità senza confini, e non riesce a vedere le lame del destino che calano su lui,

«alla sua base dev’esserci un’idea, Geralt. Il conflitto tra forze dell’Ordine e forze del Caos, come diceva un mago di mia conoscenza. Immaginavo che tu adempissi a una missione, difendessi la gente dal Male, sempre e ovunque. Senza distinzioni. Che stessi da una parte ben precisa della barricata.»

«Forze dell’Ordine, forze del Caos. Parole terribilmente ampollose, Borch. Vuoi per forza collocarmi da una parte della barricata in un conflitto che tutti ritengono eterno, che ha avuto inizio molto prima di noi e sarà ancora in corso quando saremo morti da un pezzo?»” (pag. 15)

Geralt rifiuta le facili linee di demarcazione, anche perché se vengono tracciate in maniera troppo rapida, basandosi sulle generalizzazioni, sono quasi sempre sbagliate. E rifiuta di dare risposte. Si limita ad andare avanti, guidato dal suo codice, perché è il codice a fare di lui ciò che è. E se agli altri la cosa non piace non è un problema suo.

«Ma penso che ogni mito, ogni leggenda, debba avere delle radici. E in queste radici c’è qualcosa.»

«Certo. Il più delle volte una fantasticheria, un desiderio, una nostalgia. La fede che non ci siano limiti al possibile. A volte il caso.»” (pag. 18)

«Solo la leggenda e il mito non conoscono limiti al possibile.»” (pag. 19)

Forse è per questo che mi piacciono tanto. E questa è la leggenda di Geralti di Rivia, strigo, cacciatore di mostri, vagabondo, conoscitore solo di una delle due lame della spada del destino. L’altra lo colpirà quando meno se lo aspetterà.



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