Quanti di voi associano la parola femminismo alla seguente immagine?
Ma soprattutto quanti di voi conoscono la sua storia?
Sono lieta di presentarvi Rosie the Riveter (per quanti, compresa me fino a qualche giorno fa, non la conoscevano).
Rosie la rivettatrice nasce durante il periodo della seconda guerra mondiale quando l’omonima canzone ad opera di Redd Evans e John Jacob Loeb diventa un tormentone nazionale,nel video una versione non originale:
“While other girls attend their fav’rite cocktail bar
slippin’ dry martinis munchin’ caviar
there’s a girl who’s really puttin’ them to shame
Rosie – is her name.
All the day long, whether rain or shine,
she’s a part of the assembly line,
she’s makin’ history,
workin’ for victory,
Rosie, the riveter.”
La canzone narra,come possiamo notare dalla strofa sopra citata, di una patriottica Rosie che al posto di vivere la vita mondana, dopo che il fidanzato Charlie (un marine) parte per la guerra diventa rivettatrice in una fabbrica.
Siamo nel pieno del conflitto mondiale e gli uomini partono per la guerra, chi altri se non le loro moglie potranno prendere il loro posto nelle fabbriche di produzione di materiale bellico?
Parte così una vera e propria campagna di reclutamento del genere femminile che si proponeva di convincere sia gli uomini, i quali non era tanto contenti nel sapere che le loro donne abbandonassero i fornelli per andare a sparare chiodi, che le donne a lavorare nelle fabbriche per aiutare la propria nazione ricoprendo dei ruoli puramente maschili. Questa propaganda ebbe un notevole successo e molte furono le donne che andarono a lavorare.
Nel 1942, successivamente al rilascio della canzone sopra citata, un fotografo J.Howard Miller realizzò il famoso manifesto “we can do it” per la Westinghouse Company , si può infatti notare il logo sotto il braccio sinistro. Miller creò questa immagine ispirandosi ad una fotografia scattata tempo prima alla diciasettenne Geraldine Hoff Doyle in una fabbrica metallurgica di Ann Arbor in Michigan, mentre questa lavorava . Il manifesto, inizialmente fu esposto per un breve periodo all’interno della stessa Westinghouse finendo successivamente in un dimenticatoio finché negli anni 80 le associazioni femministe americane non lo fecero diventare un loro stemma per rivendicare migliori condizioni di lavoro.
Si tornò inoltre a parlare di Rosie, quando l’illustratore statunitense Norman Rockwell creò la copertina del Saturday Evening Post nel 1943:
Spesso, nel tempo, questa copertina è stata confusa con il manifesto “WE CAN DO IT” , anche perché è chiaramente ricollegata ad esso, sia per via del nome sulla scatola del pranzo, che per le attrezzature da lavoro che possiede. Rispetto alla donna di Miller questa è sporca, più nerboruta e mangia tranquillamente pestando una copia del Mein Kampf di Hitler (si nota nel giornale anche una piccola svastica e una scritta che lascia intendere che tipo di libro stia pestando).Rockwell, nel disegnare Rosie, si è palesemente ispirato all’Isaia dipinto da Michelangelo Buonarroti nella Cappella Sistina.
Entrambe le Rosie vogliono rappresentare una donna necessaria e indispensabile per una buona riuscita del conflitto, e ciò lo si può notare anche da altri manifesti propagandistici dell’epoca.
La donna non è più la madre di famiglia che si occupa dei figli e della casa, ma è la nuova forza lavoro, una forza lavoro competente ,capace e necessaria per sconfiggere i nazisti ma che ritornerà dietro una cucina nel momento in cui gli uomini torneranno a casa a reclamare i loro posti. Rockwell dopo poco tempo fece uscire, sempre sulle copertine del Post, un’altra Rosie : ROSIE TO THE RESCUE, ovvero una donna libera e capace di fare qualunque lavoro, quasi in contrapposizione con quello che era il ruolo della donna all’epoca e come lo è tuttora in molti casi:
Oggi il poster di “we can do it” è diventato un’icona femminista, spesso viene usato ancora a scopo propagandistico, come hanno fatto Sarah Palin:
e Hillary Clinton:
o purtroppo per promuovere prodotti per la casa dove casalinghe con tanto di fede al dito “possono farcela” nel pulire un cesso:
Geraldine Hoff Doyle scoprì solo nel 1982, a distanza di 40 anni, di essere la protagonista del poster , quando si vide nella foto originale in bianco e nero pubblicata dal Modern Maturity Magazine, ignorando quindi il fatto di essere stata per decenni l’icona di numerose donne che hanno abbandonato le cucine per dare il loro contributo alla patria. Geraldine era una musicista e si licenziò poco tempo dopo il famoso scatto, si sposò con un dentista ed ebbe 5 figli, lasciandoci nel 2010 all’età di 86 anni.
fonti: qui,qui
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