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La spettacolarizzazione dell’orrore/2

Creato il 27 ottobre 2010 da Fabio1983
Quante settimane saranno che il delitto di Avetrana occupa le prime pagine dei giornali? Due, tre? Non so, ho perso il conto. Quello che invece so è che ci sono morti che rimangono silenziose – ad esempio quella di un operaio albanese – o, bene che vada, sottaciute. Per coprire chi o cosa non è dato sapere. Nelle carceri italiane avvengono costantemente suicidi di detenuti “trattati come bestie” (qui l’ottimo articolo di Pietro) e, nella peggiore delle ipotesi, talvolta veri e propri omicidi, omissioni di soccorso, carenze strutturali. Ci si appassiona, però, ai gialli d’altri tempi (vedi Cogne, Garlasco, Erba e adesso, per l’appunto, Avetrana) e ci si interroga meno su altre questioni, che pure riguardano allo stesso modo noi tutti intesi come “società”. Il coinvolgimento dei media, in questo senso, è fondamentale e proporzionato all’argomento trattato. Perciò se una ragazzina viene uccisa nel garage di un’abitazione va da sé che l’audience sarà alto a priori. Al contrario, se un ragazzo muore in circostanze misteriose in carcere è necessario che i media siano a lungo presenti per far sì che l’opinione pubblica segua quanto accaduto. Non saprei, forse è a causa di quella tipica condizione umana che non sa fare a meno di sbirciare dal buco della serratura pur di conoscere gli affari altrui. Ma al di là di questo ragionamento, sicuramente troppo semplicistico, viene da chiedersi perché fatti come i casi Cucchi, Aldrovandi, Franceschi, La Penna e – lo dico anche a costo di apparire autoreferenziale – Stefano e Fabiola non sono vissuti dall’opinione pubblica con la stessa partecipazione. Probabilmente è colpa di entrambi i fattori, la sfera pubblica e i media. Se i secondi dedicassero pagine o servizi televisivi a fatti di rilevanza pubblica con la medesima enfasi che dedicano ai delitti di cui sopra, quantomeno potremmo registrare un sostanziale equilibrio. Ma subentrerebbe un ulteriore problema. Ovvero che gente come Alba Parietti, Mara Venier, Massimo Giletti, Barbara D’Urso, tanto per dirne alcuni, rischierebbe di restare senza lavoro. Con buona pace di chi tenta di farlo bene, questo lavoro.

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