Magazine Cinema
(A most wanted man)
di Anton Corbijn (Gb/Germania/Usa, 2014)
con Philip Seymour Hoffman, Grigoriy Dobrygin, Rachel McAdams, Robin Wright, Nina Hoss
durata: 122 min.
★★★☆☆
Fa un certo effetto, inutile negarlo, vedere sullo schermo Philip Seymour Hoffman quando tutti siamo ben consapevoli della sua dipartita. Non solo, vederlo nei panni di un personaggio disilluso, dolente, in pieno disfacimento fisico e morale, aumenta ancora di più il nostro disagio: esigenze di copione, certo, ma la sensazione che dietro quei vestiti stropicciati e il fisico sfatto trovi posto anche il proprio malessere personale è davvero difficile da mandar via. In ogni caso, al solito, la sua interpretazione è maestosa: tale da farci piacere anche un film non propriamente digeribilissimo come questo.
La Spia è l'ennesimo adattamento cinematografico tratto da un romanzo di John le Carrè, precisamente da Yssa il buono (del 2008), e anche questo non poteva che essere un robusto film di genere, quello spionistico, che attrae sempre un buon numero di adepti ma, allo stesso modo, allontana inesorabilmente chi non ne predilige le tematiche. Solo per appassionati o quasi, insomma, eppure assistiamo ammirati alla sempre notevole presenza scenica di Hoffman, qui nel ruolo di un agente segreto tedesco a caccia di terroristi orientali nel dopo 11 settembre.
L'azione si svolge infatti ad Amburgo, città che aveva già ospitato alcuni degli attentatori alle Torri Gemelle e da sempre considerata dai servizi segreti internazionali come possibile base europea di reclutamento terroristico. Qui la spia Gunther Bachmann (Hoffman) è sulle tracce di un giovane clandestino ceceno, Yssa Karpov (Grigoriy Dobrygin), figlio (ripudiato) di uno spietato magnate russo e arrivato in Germania, ufficialmente, per sfuggire alla guerra civile... ma anche, si sospetta, per mettere le mani sull'immenso patrimonio del padre tiranno, custodito segretissimamente nei caveau di una banca tedesca, il cui direttore (Willem Dafoe) non ha un curriculum proprio limpidissimo. Ad aiutarlo ci penserà una giovane avvocatessa idealista (Rachel McAdams), ignara di tutto e conseguentemente destinata a cacciarsi nei guai. Aggiungeteci poi anche la diplomazia americana (comandata da una cinica e affascinante Robin Wright), le autorità germaniche desiderose di ben figurare al cospetto della Cia, un buon numero di islamici infiltrati, e otterrete la solita spy-story per palati fini...
Chi scrive, lo ammetto senza problemi, non può davvero considerarsi un appassionato del genere, tuttavia la visione del film è stata più che positiva: da apprezzare in particolar modo il ritmo lento e faticoso della storia, le atmosfere deprimenti e limacciose, l'odore di marciume che pare di respirare tra i vicoli della città teutonica: tutti segni di un mondo impaurito e diffidente, colpito al cuore, inospitale e refrattario verso chi viene da fuori. La fotografia gelida e impersonale firmata da Benoit Delhomme e la regia sottotraccia e non invadente diAnton Corbijn contribuiscono efficacemente ad alimentare nello spettatore l'inquietudine di fondo verso il 'diverso', l'ignoto, verso un avvenire che Bachmann/Hoffman definisce sarcasticamente 'migliore e più sicuro'.
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