Magazine Cinema
di Antoni Corbijn
con Philip Seymour Hoffman, Rachel MacAdams, Willeim Defoe
Regno Unito, Usa, Germania, 2014
genere, spionistico, drammatico
durata, 121'
La scelta di ambientare un film di spie e di servizi segreti in Germania è di per sè piuttosto suggestiva. Un pò perchè l'ambiente spoglio e il paesaggio decolorato di Amburgo dove la storia è collocata è legato dal punto di vista iconografico ad un periodo storico, quello della guerra fredda, che è stato per antonomasia lo scacchiere ideale per muovere le pedine di questo genere di vicende. Un pò perchè il successo di un film come "Le vite degli altri" ha introdotto anche le nuove generazioni ai luoghi e alle dinamiche che i loro precedessori avevano conosciuto con film, solo per citarne due a caso, come "Il sipario strappato" di Alfred Hitchcock o "Funerale a Berlino" (entrambi del 1966) famoso per la presenza dell'agente segreto Harry Palmer interpretato da Michael Caine.
Scenari che il nuovo film di Antoni Corbijn aggiorna al tempo presente, con la lotta tra gli antichi antagonisti ancora presente ma relegata sullo sfondo di un nuovo palcoscenico nuovo, in cui il radicalismo islamico e il terrorismo che ne consegue la fanno da padrone. Ad essere ricercato infatti non è più "la spia che venne dal freddo" bensì il prototipo di una minaccia che si presenta sotto le mentite spoglie di un benefattore della comunità araba locale, le cui donazioni potrebbero nascondere il finanziamento ai bracci operativi della jihad islamica. Per arrivare a lui Gunther Bachman (Seymour Hoffman in quello che è stato il penultimo film da lui girato in ordine di tempo) capo di un unità intelligence tedesca sotto copertura è disposto a tutto, ma durante l'indagine il suo cinismo e la sua determinazione saranno messi a dura prova dal machiavellico mondo che gli muove attorno.
Per Corbijn, rivelatosi all'attenzione generale con l'imperdibile "Control" questo nuovo lungometraggio rappresentava l'occasione di una rivincita dopo il tonfo - anche critico- del precedente e irrisolto "The American". Una chance sostenuta anche dalla possibilità offerta al pubblico di vedere a lavoro il talento di un attore come Phylip Seymour Hoffman, improvvisamente scomparso poco prima dell'uscita del film. La strategia messa in atto dal regista però funziona solo in parte e fino a quando l'analisi si sofferma sulla messinscena del film, sicuramente ricca di atmosfera e calibrata su un tono lontano dal glamour e dai vezzi di certa retorica da spy movie hollywoodiano. Determinante in questo caso è soprattutto Hoffman capace di calarsi nei panni di un personaggio solitario e cupo che l'attore riesce a rendere con un esistenzialismo fatto di pochi ma determinanti segni come il vestito perennemente sgualgito e lo sguardo anni luce distante dal presente della vicenda. A mancare è però la sceneggiatura che tradisce l'ossessione del personaggio e la claustrofobia di un mondo autoreferenziale, e perciò oscuro al mondo esterno, attraverso l'utilizzo di una narrazione che mette in fila senza alcuna contraddizione e con molta linearità i vari pezzetti del puzzle investigativo. La percezione è quella di una realtà tutt'altro che sfuggente e di un caos troppo organizzato. Il coinvolgimento ne risente così come la verosimiglianza. Il progetto è apprezzabile, il risultato un pò meno.
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