- Dettagli
- Scritto da Erica Francesca Bruni
- Categoria principale: Le nostre recensioni
- Pubblicato: 04 Novembre 2014
Anton Corbijn, regista di Control (il biopic su Ian Curtis dei Joy Division) e di The American, torna con La spia – A Most Wanted Man, tratto del romanzo di John Le Carré, Yssa il buono.
Con quest’opera Corbijn ci porta dentro una classica storia di complotto nella Germania del post 11 settembre. L’intreccio vede coinvolto Bachmann, un agente segreto dell'anti-terrorismo con base ad Amburgo, un rispettato accademico musulmano sospettato di legami con Al-Qaeda, una giovane avvocatessa idealista, un losco banchiere britannico e un’astuta agente della CIA.
Attraverso la storia di queste spie moderne Corbjin unisce discretamente le dinamiche tipiche di un’action-thriller approfondendone l’aspetto umano e mostrandoci il vissuto intimo di tutti i protagonisti. Philip Seymour Hoffman è perfetto nel ruolo di Bachmann e riesce a esprimere tutta la stanchezza e la rabbia repressa di un uomo ormai segnato dalla vita e dalla sua missione. Sin dall’inizio si comprende che il suo personaggio è quello dell’eterno sconfitto, il classico antieroe che, nonostante gli sforzi e i buoni propositi, è destinato a fallire sempre e comunque, ma non per sua colpa.
E’ ovvio, infatti, che in questa partita, come in tantissime altre, tutti i personaggi coinvolti sono pedine legate da fili invisibili, in cui entrano in gioco dei meccanismi che non dipendono da loro, ma che fanno parte di un disegno ben preciso di qualche potere occulto o governo ombra. Ma, nonostante la loro impotenza, personaggi come Bachmann perseverano nella loro causa/tormento, perché è con l’impegno quotidiano e la costanza che si deve combattere l’arroganza di un potere nemico della Giustizia verso i più deboli.
Corbijn con La spia convince e riesce a sottolineare il clima di tensione e paranoia che vede coinvolti i governi occidentali, svelandoci allo stesso tempo come le strategie per la caccia al terrorismo diventino un pretesto di lotta al Potere. Ne risulta un filmo cinico e disincantato, avvolto da un’atmosfera tetra e di affascinante inquietudine, a cui si presta la luce plumbea e il clima algido tedesco.
Il ritmo del film, ad andatura costante, procede senza esasperazioni e la tensione implosa viene spezzata solo nel finale con l’urlo disperato e pieno di rabbia e dolore di Bachmann, che ci lascia con un’uscita amara e silenziosa, scomparendo dall’inquadratura di lato, suonando così come un triste e malinconico addio al grandissimo attore scomparso Philip Seymour Hoffman.
Voto: 2,5/4
Non hai le autorizzazioni necessarie per postare un commento.
JComments