E’ difficile commentare la manovra anticrisi del governo: lo sforzo prodotto è al di sotto della stessa inettitudine di chi l’ha prodotta, un collage di misure di emergenza che navigano nel vuoto, salvo alcuni furti strutturali contro i ceti popolari e quelli medi. Berlusconismo dadaista che un po’ guarda alle elezioni, un po’ alla comunicazione, molto a salvaguardare il suo zoccolo duro e per niente al Paese, portato avanti con sicumera ma con una paura così densa che si taglia col coltello.
Anche provvedimenti come il taglio delle province attuato solo per assaggio diventa un pasticcio, perché da un parte non elimina un’articolazione dello stato in gran parte inutile, dall’altra fa risparmiare assai poco vista l’esiguità delle cancellazioni, ma soprattutto creerà province più grandi, quindi più fameliche e contrattualmente più forti. E insomma uno dei “depositi” del costo della politica rischia di rafforzarsi. Del resto se non si ha il coraggio di prendere decisioni radicali in un momento radicale, la partita è perduta.
Ma è solo un esempio. In via formale la manovra accontenta un’Europa anch’essa confusa e attaccata come una cozza alle ricette fallimentari del liberismo di rito ortodosso che pensa di poter mettere in salvo i debiti pubblici risparmiando sul welfare, eliminando diritti acquisiti, ma salvaguardando le rendite con il solo risultato di deprimere Pil e sviluppo creando così un circolo vizioso deprimente. Del resto è la famosa ricetta dell’ Fmi che ha devastato interi continenti. Ed è veramente singolare che gli avvelenatori , una volta colti dai mali di pancia dell’economia finanziaria senza limiti, siano disposti a bere le medesime sostanze tossiche.
Oddio singolare se si guardava l’aspetto più evidente, quello impositivo, imperiale dei diktat che cadevano su Paesi poco sviluppati con una struttura sociale in gran parte ancora arcaica. Questa abbagliante evidenza appannava in parte la realtà classista dei “consigli” iperliberisti che del resto miravano al modello della massimizzazione del profitto con pochi ricchi, un esile classe media e una marea di poveri facilmente ricattabile.
Adesso che accade a noi, ora che si è in gran parte consumato il grasso accumulato nei decenni precedenti, questa modalità di azione diventa chiarissima e si profila come un’attacco alla sostanza della democrazia pur lasciando intatti gli aspetti formali. Naturalmente il governo personale del tycoon che si misura ogni giorno con le borse degli altri, non fa che scoprire ancora meglio questo disegno.
Purtroppo sono molte le distrazioni dal seguire con lucidità questa trama che si tesse in automatico dalle sue premesse, dietro la quale non ci sono grandi vecchi, ma solo una logica che abbiamo ormai introiettato. E così, tanto per fare un esempio, mentre una enorme massa di persone legge indignata il menù dei parlamentari, rimane praticamente sotto silenzio la privatizzazione totale dei servizi pubblici previsto nella manovra. Dov’è andato a finire il popolo referendario che due mesi fa si era opposto per principio proprio a questo? Sembra svanito nel meriggiare pallido e assorto dell’estate, dove un filetto di spigola a 3 euro e mezzo fa aggio sulle future stangate che le privatizzazioni porteranno.
Si il disegno ci vede complici nel non vedere, appesi all’esca certamente gustosa che i media ci propinano. Perché alla fine i veri branzini siamo noi.