Era l’ottavo secolo d.C. quando, in alcuni territori dell’India orientale, prendeva forma la meravigliosa avventura artistica e culturale dei Patachitra.
Proveniente dall’unione, in sanscrito, delle parole Patta, che significa pezzo di stoffa e Chitra, cioè immagine, questa sorta di “papiro disegnato” era anticamente un sistema per replicare icone sacre:
le copie, allora come oggi, venivano affidate a degli artisti locali, i cosiddetti Chitrakar(o Patua), che ancora oggi sono considerati i veri custodi di quest’arte.
Ma i Patachitra, ormai da molto tempo, sono molto più di una semplice immagine religiosa.
La loro funzione principale è infatti il racconto, e ci si può riferire ad essi come a dei veri e propri dipinti cantati in grado di raggiungere i moltissimi analfabeti purtroppo ancora presenti nel Paese.
Queste coloratissime strisce di carta e tessuto dipinte a mano, opera esclusiva delledonne Patua, vengono srotolate svelando poco per volta le immagini che racchiudono, e mostrando, come in un moderno fumetto, sequenze cariche di significato. Il tutto è accompagnato dal racconto cantato delle Chitrakar, che ne illustrano il contenuto con un alta partecipazione emotiva.
Se un tempo però le tematiche affrontate riguardavano soprattutto aspetti religiosi, la natura e alcuni brani tratti da poemi epici indù, con l’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione e il diffondersi delle notizie, si è iniziato a rappresentare anche eventi d’attualità di rilevanza mondiale, come la tragedia dello tsunami del 2004 o gli attentati dell’11 settembre.
A questi temi, si è poi aggiunto un interesse verso problematiche ancora enormemente influenti nella debole struttura sociale dell’immensa India. In particolare, grazie anche ai Patachitra, è aumentata la consapevolezza delleingiustizie subite ancora oggi dalle donne, e si è iniziato a raccontare storie che vanno dalla diffusione del virus dell’HIV in India, alla disparità dei diritti tra uomo e donna sino, ad esempio, alle proteste dei contadini di Nandigram, nel 2007-2008, contro le espropriazioni delle terre, in cui ha giocato un ruolo fondamentale proprio un movimento femminile locale.L’impatto dei Patachitra è unico, oltre che di prim’ordine anche a livello artistico. Unatecnica millenaria, fatta di elementi naturali come i colori che ne disegnano le simboliche figure, nell’epoca dell’immediatezza dell’informazione è infatti in grado di coinvolgere e sensibilizzare chi, a questa informazione, non ha ancora avuto accesso, contribuendo al progressivo miglioramento delle condizioni di vita di migliaia di persone.
Dopo aver attraversato dodici secoli di avvenimenti, le Chitrakar (cognome di tutti gli artisti nel villaggio di Naya, nel Bengala Occidentale, dopo l’avvento della dominazione islamica dei Moghul) sono ancora lì a raccontare le loro storie, insieme, Chitrakar induiste e musulmane, convivendo pacificamente e lavorando gomito a gomito aldilà delle differenze religiose, per la loro arte. E lo fanno con piglio documentarista e passione da moderne reporter, consapevoli che tra i colori sgargianti delle loro stoffe si nascondono possiblità di futuro tutte da coltivare.
[Articolo originariamente scritto per Plain Ink]