Riflessioni intorno ai figli (pre)adolescenti
Credo sia una questione di fame, senza scomodare Steve Jobs. Era per fame che studiavo. Per solitudine intellettuale, per bisogno di universi. Quel che avevo non mi bastava, gli adulti parlavano poco, i coetanei non ne sapevano, il mondo non si spiegava da solo, internet non esisteva. Per questo studiavo. Compulsavo l’enciclopedia, ero bulimica di libri, andavo bene a scuola. E non che la scuola regalasse grandi soddisfazioni! Le mie versioni di latino e greco si posizionavano fra il 7 e l’8 e mezzo. 8 e mezzo era il massimo raggiungibile, quando tutto era perfetto; perché non 9 o 10 non ce lo si chiedeva nemmeno. Non ero tra le più brave, loro stavano tra l8 e l’8 e mezzo, erano le secchione, tutte femmine, piuttosto sole, molto affamate. Si studiavano cose lontane, così astruse che talvolta era esercizio alla cieca, il significato lo avremmo afferrato molti anni più tardi, a volte mai. Ma c’era un’oscura percezione di nutrimento, s’intuiva, pur nell’insopportabile noia di certi studi mnemonici, un senso profondo e universale, una cunicolo sotterraneo che avrebbe condotto più vicino al sapere di chi, nei secoli, ha tentato di rispondere alle Domande. Non sono certa che allora, nei mortali pomeriggi di versioni e letture in metrica e cori di tragedia greca, quel senso mi si palesasse, tuttavia sudavo su quei testi, piegavo la mente giovane a quell’esercizio astruso e ne traevo, chissà come, una forma di sazietà.
Ora guardo i miei figli, stressati da una vita articolata come quella dei grandi, pasciuti di risposte senza aver nemmeno formulato le domande, convinti di sapere o di sapere-dove-trovare-ciò-che-serve-sapere. Parlo di qualcuno che è andato in pensione e sospirano “Beato lui”, il mondo per loro è grande, trasparente, tutto è a portata, non c’è ragione di avere fame, un leggero senso di nausea, semmai, l’inappetenza dei ben pasciuti. Eppure so che anche in loro si nasconde una forma di fame, non può che essere così!, fame di cosa, esattamente non so dire, sono generazionalmente cieca, abilitata a conoscere solo la specie di smania che ho provato io. Credo sia questo che accade tra genitori e figli, il punto in cui il legame si lacera, il bivio nevitabile dell’incomprensione, lo strappo dell’adolescenza. E non resta che lasciarli andare, soli, perché la fame che non mi è dato conoscere finalmente si sieda fra loro e il mondo e li convinca a iniziare la stagione della caccia.