Magazine Cultura
Oslo si trova nella morsa di una delle estati più torride che la storia ricordi. Anche mettere due patate sul fuoco sembra un supplizio, ma quando, in un appartamento del centro, delle grosse macchie nerastre si allargano nell'acqua delle patate che bollono in una pentola sul fornello, Vibeke Knutsen capisce che non può essere colpa del caldo e, sollevando i suoi occhi dalla pentola al soffitto, vedo un denso liquido scuro colare attraverso l'intonaco e scendere a gocce verso il basso. Al piano di sopra, il quinto, una donna giace in una pozza di sangue, assassinata.
Anno: 2003 Editore: tr. it Piemme Milano, 2008 Traduzione: Giorgio Puleo Pagine: 471 ISBN: 978-88-566-1981-2 Euro: 11,50.
La presente recensione è "spoilerosa", già a partire dalla riga seguente, dopo il punto, quindi chi prosegue è avvertito. L'elemento che di più permette di suggerire la lettura di "La stella del diavolo", terzo romanzo di Jo NesbØ tradotto in Italia da Giorgio Puleo, è il fatto fondamentale che qui ci sbarazziamo finalmente di Tom Waaler, collega (per modo di dire) e nemico numero uno del nostro eroe, Harry Hole. Ce ne sbarazziamo in modo catartico, attraverso la sua trucidissima morte, che avviene mediante amputazione del suo braccio, armato di pistola, all'interno dell'ascensore di una casa dello studente di Oslo. Ciò avviene nelle ultime, dense, angoscianti pagine del libro, che chiudiamo con un lungo, sofferto sospiro di sollievo che NesbØ ci permette finalmente di tirare, dopo ben tre romanzi! Il mostro è abbattutto, la vecchia strega bruciata, il babau annientato e di questo siamo grati allo scrittore norvegese. Discorso diverso va invece fatto per i primi tre quarti del libro, che peraltro comincia con un errore di italiano da parte di Giorgio Puleo, il quale scrive "disfando" al posto di "disfacendo" nella seconda pagina, ahimè... Ma, a parte questo svarione anche comprensibile se dovuto a semplice disattenzione (ma che irrita comunque un ossessivo e attento alla lingua come il sottoscritto), l'incipit e le prime cento pagine appaiono, almeno a chi scrive, piuttosto disarticolate rispetto ai romanzi di NesbØ finora letti. Sembra che lo scrittore norvegese fatichi un pò a mettere sul binario il treno, che poi in verità riesce comunque a partire e a farci viaggiare a ritmo sostenuto nelle praterie di un immaginario "giallo" sempre molto gustoso, fino alla conclusione che, come detto, è veramente da considerare un piccolo capolavoro a sè. La costruzione del fantomatico serial-killer travestito da fattorino che uccide giovani donne amputandone un dito della mano, secondo uno schema preciso e "diabolico" (in senso letterale), è poi ben raccontata e risulta suggestiva. Da un certo punto in poi il ritmo diventa, come di consueto, molto "americano", dosando sapientemente colpi di scena, suspense e momenti di introspezione psicologica distribuita equamente tra tutti i personaggi della storia, cioè tra "i buoni" e "i cattivi". Mi sembra utile tuttavia sottolineare che, fermo restando che Harry Hole resti un personaggio di grande spessore e umanità, NesbØ in questo romanzo calchi un pò troppo la mano nel descriverlo come un ubriacone inveterato (nella prima parte), salvandone successivamente l'immagine "sobria" e cognitivamente presente e attiva (nella seconda parte). Ho trovato questa trasformazione narrativa un tantino tirata per i capelli, anche perchè non si capisce che bisogno abbia uno come NesbØ di pigiare l'accelleratore sul solito, risaputo elemento traumatico del "detective-con-problemi-esistenziali", figura che ci ha ormai da tempo scassato i maroni. Se Harry avesse poi davvero problemi così duri con l'alcol, avrebbe di conseguenza , e verosimilmente grosse difficoltà a ritrovare una bussola orientativa realistica e l'acume che invece NesbØ gli attribuisce. Sto dicendo che i plot che NesbØ confeziona (il plot di "La stella del diavolo" in particolare) camminano su una corda tesa come acrobati, dando l'idea di cadere di sotto da un momento all'altro, in fatto di verosimiglianza. Pensiamo ad esempio al modo con cui sono ideati ed eseguiti i delitti in questo romanzo: pensiamo alla ragazza uccisa nel bagno delle donne di un affollato studio di avvocati di Oslo, uccisione molto complessa e seguita da tutto un rituale che porta via tempo all'assassino, del tutto incurante di essere scoperto e riconosciuto. A tratti sembra cioè che NesbØ sia più interessato a un virtuosismo semi-barocco nella scrittura di genere "thriller" , piuttosto che a evocare scenari narrativi nuovi all'interno dello stesso genere. Ma, aldilà di queste osservazioni critiche che mi sembra giusto rilevare, l'effetto complessivo di questo romanzo è che, nonostante certe soluzioni narrative tirate per i capelli, tutto comunque, alla fine, si tenga e rimanga in piedi. Come certe architetture alla Gaudì, diciamo, che percettivamente sembrano così "molli", liquide, sbilenche, ma che possiedono una loro interna struttura molto solida e in ogni caso stabile. "La stella del diavolo" è, tra quelli finora da me incontrati, forse il meno riuscito sul piano dello stile, ma il treno comunque, dopo le prime cento pagine, si mette in pista permettendoci uno sguardo su panorami e scorci molto suggestivi e che non ci aspettavamo di vedere. Quindi, aldilà di tutto lo consigliamo.
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