Può apparire quasi sorprendente come, a distanza di ormai trentuno anni dalla sua scomparsa, Eduardo possa essere ancora così presente, da protagonista e in una veste senz'altro attuale, sulla scena italiana. Non mi riferisco alle sue commedie, che compaiono sempre nei cartelloni di ogni stagione teatrale, ma al fatto che quanto ci ha lasciato in eredità continui a dare frutti.
Il 14 ottobre scorso, nella serata di pre apertura della Festa del Cinema di Roma, è stato proiettato il film "La stoffa dei sogni", diretto da Gianfranco Cabiddu ed interpretato, tra gli altri, da Sergio Rubini ed Ennio Fantastichini.
Si tratta di un interessantissimo progetto che vede nuovamente accostati Eduardo e Shakespeare. Come è noto, Eduardo dedicò l'ultimo periodo della sua vita alla traduzione in napoletano de "La tempesta" di Shakespeare. Gianfranco Cabiddu ebbe un ruolo importante nella realizzazione di questa impresa, avendo seguito le fasi di registrazione della Tempesta, nella quale Eduardo diede voce a tutti i personaggi maschili. Il film che ora ha realizzato interseca la storia narrata da Shakespeare con quella di Oreste Campese e dei suoi poveri comici, protagonisti della commedia eduardiana "L'arte della commedia", testo nel quale Eduardo scolpisce la sua visione del teatro e dell'importanza che attribuisce all'arte alla quale ha dedicato la vita.
"La stoffa dei sogni" dovrebbe arrivare a breve nelle sale e, leggendo le critiche all'indomani della sua presentazione, sembra essere davvero un piccolo gioiello. Oltre agli espliciti richiami alle opere teatrali che lo hanno ispirato, il pensiero è andato immediatamente all'esperienza legata alla rappresentazione della Tempesta tradotta da Eduardo e realizzata dai detenuti di Rebibbia. Il film infatti è ambientato nell'isola-carcere dell'Asinara dove giungono, a seguito di un naufragio, una piccola compagnia di guitti a cui si sono mescolati quattro camorristi che avrebbero dovuto scontare la pena proprio sull'isola. Costoro però costringono il capocomico a farli passare per attori della compagnia. Il direttore del penitenziario pretenderà che venga organizzata una rappresentazione teatrale per individuare i falsi attori. Altra suggestione, forse unicamente mia personale, mi è stata fornita dalla foto di scena che ritrae Sergio Rubini nei panni di Oreste Campese mentre guida le prove dello spettacolo improvvisato e che mi ha ricordato Sik-Sik con il suo kimono...
In maniera come sempre mirabile, Paola Quarenghi ha descritto questo imperdibile film:
[...] il teatro rappresenta, come avviene anche in Shakespeare, una zona franca, dove l'impossibile è possibile; un gioco semplice, ma anche il luogo di misteriose rivelazioni. Così, in questo spettacolo di poveri guitti, non ci sono più comici e camorristi infiltrati, ma solo attori; e non è strano che Calibano, di fronte a quella esperienza nuova per lui che è il teatro, a quel linguaggio misterioso che gli intenerisce il cuore, si metta a parlare con la voce degli uccelli; e che uno dei detenuti ingaggiati per poter coprire i ruoli mancanti, dopo essere stato spinto in scena a forza ed essersi rifiutato di dire la sua battuta, si tolga la buffa maschera che lo nasconde e cominci a parlare, attraverso il suo personaggio, di sé, della propria condizione. [...] Non è strano, se accettiamo l'idea che il teatro sia un luogo di rivelazioni (discovery place si chiamava nel palcoscenico elisabettiano quell'apertura centrale chiusa da una tenda, nella quale riapparivano personaggi scomparsi, avvenivano rivelazioni, le statue prendevano misteriosamente vita) e se diamo retta al capocomico eduardiano dell'Arte della commedia, secondo il quale, se qualcosa avviene sulla scena, qualcosa di analogo, nel mondo reale, o c'è già stato o ci sarà. Certo sarebbe bello che quella pacificazione, quel patto di solidarietà fra uomo e uomo e uomo, fra uomo e natura, di cui parla La tempesta, potesse realizzarsi davvero anche fuori dal palcoscenico... Ma se non può fare miracoli, il teatro può almeno far nascere desideri, far sentire bisogni, far immaginare qualcosa che non c'è, o non c'è ancora. (leggi la recensione completa su doppiozero)