Tempo fa mi diedero anche dell'antisemita perché osai dire che gli Ebrei sono molto più della tragedia - che poi sono tragedie, più di una - che hanno vissuto, e che il giorno della memoria è una semplificazione che li aiuta. Nessuno ha il monopolio della tragedia e la tragedia vissuta non è ragione sufficiente per autopromuoversi e questo sono pronto ad affermarlo davanti a chiunque. Così come direi, e dirò sempre, che il 27 gennaio è il giorno nel quale si dovrebbe ricordare cosa si tentava di uccidere attraverso le persone, puntare sulla ricchezza della loro cultura ineludibile, nostro fondamento, e della vita in generale, delle vite di tutti, piuttosto che sul progetto criminale che le voleva eliminare, insieme a quelle di tanti altri "diversi". Quella storia ci riguardava e ci riguarda tutti.L'altra storia, quella che è un insieme di effemeridi, mi disturba. Io mi perdo nelle storie, nelle storie di singole persone, non di categorie, nel vissuto. Una storia fatta di cause ed effetti è una menzogna finché non ci si riflette su ora, nel momento nel quale la si fa, una storia di torto e ragione è un crimine dell'intelligenza e della pietà. Questo non per difendere a ogni costo l'indifendibile, anzi, ma per ascoltarne le ragioni, per capire cosa ci può portare nel baratro. Non me ne faccio niente di andare d'accordo con chicchessia o forse anche con una sola persona, la storia non è il consenso degli storici, ma una sonda lanciata nell'infinito delle nostre possibilità e delle nostre contraddizioni.
La storia come materia scolastica non mi coinvolge. Sono i tagli diversi che mi consentono di ricostruire il mio presente: è un gioco di prospettive, è un'avventura che spaventa. Sono le vite che mi interessano: i progetti, i fallimenti, cosa accadde quel giorno che cambiò tutto a una o due persone e come questo fu diverso da ogni altro giorno. E perché. Perché. Perché?
