Ho pensato che scrivere questa storia non poteva essere altro che un crimine o una preghiera.
Ed è vero, cos'altro può essere raccontare la storia di Jean-Claude Romand, l'uomo che un giorno del 1993 massacrò moglie, figli, genitori perché non fossero testimoni della sua vita di menzogna? Già, forse può essere anche verità, semplicemente verità, quella verità che peraltro può avere molto a che fare sia con il crimine che con la preghiera.
Una verità da maneggiare con cautela, ma anche senza alibi. E senza gli effetti speciali che troppo spesso si accompagnano alle storie criminali che fanno audience televisiva e sollecitano reazioni viscerali.
Emmanuel Carrère, nel suo L'Avversario (Adelphi), non ha bisogno di nient'altro che del suo bisogno di verità, per raccontare la storia di un uomo che è arrivato a fare quello che ha fatto per essersi sempre sottratto alla verità. Lui che a tutti - anche ai famigliari - si era spacciato come un medico di successo, mentre in realtà trascorreva le sue giornate nei boschi o in un parcheggio dell'autostrada.
E' proprio la verità, credo, il tema centrale di questo libro capace di provocare terribili inquietudini. La verità, prima ancora del male capace di fare strage.
La verità che persegue Carrère, cercando di raccontare con precisione, giorno dopo giorno, quella vita di solitudine, nello sforzo di entrare addirittura nella testa di uomo senza giustificazioni. La verità che insegue Jean-Claude Romand, come il cameriere che riacciuffa il cliente che non ha pagato il conto.
Ed è incredibile, ma spaventosamente vero, che a volte la vergogna di una vita senza verità si traduca in gesti estremi peggiori di qualsiasi menzogna.