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Le suore la presero con loro e nelle loro cucine imparò facilmente ed in fretta l'arte della cucina franco-senegalese, con le sue salse ed i suoi gusti così gradevoli e non aggressivi e intanto andava nelle case dei vacanzieri europei, dove oltre ai servizi, forniva anche le sue doti culinarie. Usava senza problemi, lavatrici, forni a microonde, frigoriferi e centraline dell'aria condizionata, tutte quelle diavolerie così complicate a cui gli stranieri non erano capaci di rinunciare, non accontentandosi della bellezza della spiaggia e del sole africano. E intanto ammirava quei meravigliosi pavimenti di piastrelle, i carreaux, così facili da pulire, bastavano due colpi di straccio umido. Alla sera tornava dai suoi cinque bambini, a cui la madre badava durante il giorno ed al suo pavimento di terra, su cui dormiva, stanca, le poche ore che la separavano dal giorno successivo. Non voleva far mancare niente ai figli, soprattutto l'istruzione che sapere essere la sola possibilità di affrancamento. Ne parlava certo ogni tanto, con qualcuno dei tubab, quelle persone dalla pelle bianca che aveva conosciuto, e qualcuno cominciò a darle una mano. Così i figli andavano a scuola ogni giorno e portavano a casa quei quadernini così costosi e tutti pieni dalla loro scrittura minuta e attenta. Tutti apprezzavano Anjèl, per le sue capacità e la sua serietà e soprattutto anche per la sua salsa dolce alla cipolla con cui condire il pollo yassa o le sue brochettes di lotte così tenere e gustose ed in effetti cominciava a portare a casa dei bei soldini. Con il suo occhio lungo, ogni volta che una sommetta le cresceva nel portafoglio, comperava un po' di mattoni, quei grandi mattoni crudi e grigi che facevano a mano in fondo al paese o qualche bacchetta di ferro e li metteva nell'angolo del cortile.
Prese anche un grosso cane per evitare che di notte qualcuno glieli fregasse, mentre lei continuava a spazzare il suo pavimento di terra. Poi, a poco a poco, cominciò a costruirla, la casa, quella casa che sognava da sempre assieme al marito ingrandendo le due camere dal pavimento di terra. Adesso i ragazzi sono cresciuti, tutti bellissimi come lei naturalmente. Il più grande è professore di inglese in Casamance, il secondo sta per diventare ufficiale dell'esercito, il piccolo studia ancora, ma è molto bravo. Una delle due ragazze è all'ultimo anno della scuola da infermiera e l'altra sta frequentando la scuola alberghiera e già aiuta la mamma, nei tanti compiti fiduciari che ha ormai assunto per i tubab italiani. Ogni volta che arriva qualcuno dall'Italia, una sera, si va tutti a casa di Anjel a fare festa, si suonano musiche africane e si balla e anche la vecchia madre di Anjèl si scatena. Con preveggenza, però, nella grande e bella casa circondata dal recinto coperto di buganvillee colorate col cancello di ferro battuto, ha lasciato sul tetto le bacchette di ferro che spuntano, così da poterla rialzare senza problemi, man mano che la famiglia si allarga. Già una camera in più se l'è fatta il professore. E' felice adesso Anjèl e la sua serenità te la comunica col un largo sorriso, con la bonomia allegra della sua razza quando ti abbraccia sincera e ti chiama "mon petit Tonton". Però, se vai a casa sua, la prima cosa che vuole farti vedere, non è il frigorifero o la televisione, ma il pavimento. Tutti quei bei carreaux, grandi, lucidi e perfetti, allineati senza errori che si puliscono in un attimo, basta passare uno straccio.
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