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I Masai sono i padroni incontestati delle grandi pianure del nord al confine con il Kenya. Una società pastorale con il bestiame al centro di tutto, ricchezza, status sociale, sostentamento. Così nei mercati che si svolgono lungo le strade, è il bestiame ad essere al centro dell'attenzione ed a costituire il cuore degli scambi. A un centinaio di metri dalla strada tra prati smeraldini, figure rosse appoggiate a lunghi bastoni, si muovono lente tra gruppi di animali; riunite a due, a tre guardano, discutono, valutano. A differenza di altre situazioni economiche, per i Masai la bellezza è un fattore fondamentale, forse più della produttività o della rarità. Per questo popolo fiero, per il quale l'aspetto esteriore fa parte integrante del peso nella società, la bellezza è un punto chiave anche nell'economia. Così gli animali vengono valutati con cura, osservati e scelti per la nobiltà del loro portamento e l'eleganza delle forme e rimangono al centro della vita sociale del villaggio. I Masai disprezzano gli agricoltori, i cacciatori e tutti coloro che non facciano altro che i pastori, unica attività degna di essere vissuta e malvolentieri si sottopongono anche alle necessità degli scambi. Ecco quindi nei mercati la presenza di altre etnie che offrono le merci comunque necessarie alla vita di tutti i giorni. Accanto alle mandrie, dunque ecco fiorire lo spazio per frutta, verdura, vestiario e tutto quanto serve poi nella vita di tutti i giorni. Ma qui il colore e lo sfoggio riveste ancora più importanza. Giri in mezzo alla polvere e per terra su grandi tovaglie colorate con qualche telo di plastica a riparo del sole, è tutto un fiorire di frutti della terra, ma anche di coperte rosse e blu, vestiti, collane, cinture e orecchini, machete, bastoni, senza parlare delle famose ciabatte ormai entrate nella tradizione masai, ricavate dai copertoni usati. di certo un'idea che, se lanciata opportunamente da una griffe internazionale, potrebbe superare con facilità il successo delle Crocs e risolvere allo stesso tempo un problema di riciclaggio di materiali.
Vorrei proporla a D&G, mi sembra in linea con la filosofia aziendale, credo diverrebbero un must delle nostre estati, essendo anche ideali per la barca.A 50/60 euro dovrebbero spopolare. Le macchine di wazungu che si fermano qui, sono molto rare ed è quindi logico che se cominci ad aggirarti tra la gente, non riesci a passare inosservato, né a sfuggire a chi cerca di approfittare dell'occasione di piazzarti qualche cosa, anche se neghi ogni intenzione di acquisto. Maya è una bella ragazza che mi si appiccica immediatamente con un po' di collane di perline e braccialetti in mano. Quando capisce che sono riottoso all'acquisto, mi fa un prezzaccio per una stock al completo e con la promessa di comprarglieli a fine giro me la trascino qua e là per un po', fino a quando non mi riaccompagna alla macchina. E' una occasione per chiacchierare, visto che ha imparato un po' di inglese alla scuola della parrocchia. Maya è molto bella, magrissima e alta. Ha occhi grandi, umidi e neri da cerbiatta, che ingioiellano i suoi diciotto anni. Le collane più belle e colorate attorno al collo, una serie di bracciali e cavigliere di perline, grandi orecchini barocchi alle orecchie deformate dalla lacerazione dei lobi. Qualche scarificazione rileva le sue guance in linee curve ed ordinate. Cosa non sopporta una donna quando pensa di poter incrementare la sua bellezza. E Maya è perfettamente conscia di essere bella. Lo vedi da come atteggia lo sguardo, da come appoggia il mantello rosso attorno al capo a nascondere una parte del viso, che però subito rivela, quando si allarga nel sorriso aperto e sereno. Di certo ha dovuto forzare la sua natura per mettersi a vendere chincaglieria varia, cosa niente affatto dignitosa, così vedi subito che non ama la trattativa classica del mercato africano e che arriva senza discutere al punto della sua richiesta, quasi con il fastidio di doversi abbassare ad una attività poco gradita. Però parla volentieri.
Abita nel villaggio dietro la collina, in una casa di fango e non è ancora stata chiesta in sposa, le Masai non si sposano troppo presto. Ma nei suoi occhi scuri c'è una luce vivace e diversa. La T-shirt colorata con scritte pubblicitarie che fa capolino sotto il mantello, parla di connessioni ibride con un mondo diverso, altro dal boma delle capanne circondato da un'alta siepe di rami spinosi di acacia a protezione degli animali selvatici. E' già stata fino ad Arusha, ha visto cose e già si è riempita gli occhi delle immagini che le sirene della città cantano di continuo, una malia irresistibile che chiama, invita, circuisce. Maya sogna una vita diversa da quella del villaggio di fango, fatta di cose nuove, differenti e forse mai ancora immaginate, vorrebbe andare in città per sempre, anche se non ha ancora un'idea precisa di cosa fare. L'affascinano troppo tutto quel movimento, le grandi case in muratura, i locali, i negozi traboccanti di cose, sconosciute ma desiderabili comunque. Forse per questo Maya ha un po' abdicato alla dignità della sua tribù e vende collanine, questa è già stata evidentemente una rinuncia ad una parte di sé, decisa a guardare irrinunciabilmente al nuovo ignoto che sta oltre la collina. Non ho cuore di chiederle una foto, di farle rinunciare ad un ulteriore pezzo di sé stessa per portarmi via una parte almeno della sua bellezza. Ci salutiamo sorridendo, io con le mie collanine in mano, mentre lei, come una modella, torna al mercato sollevando piccoli sbuffi di terra rossa con i sottili piedi nudi.
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