Il documento 22-2-2016 di Dante Blagho
La settimana scorsa Nadia Sukkar (nome convenzionale) è stata a casa mia. Veniva da Aleppo dove l’ho conosciuta nel 1994, come alunna dei corsi d’italiano all’Università e poi, fino a oggi, carissima amica di famiglia, anzi una figlia. Ecco la sua storia.
“Nel 2011 a Damasco i miei due figli hanno partecipato ad alcune dimostrazioni per la libertà. Anch’io tenevo riunioni a casa mia con parecchia gente e discutevamo dell’avvenire della Siria. Una sera i miei figli non sono tornati a casa e subito sono andata alla polizia per chiedere dove erano. Dopo la notte in attesa il capo mi ricevette e mi rimproverò del fatto che i miei figli si occupavano di manifestare in pubblico, anziché studiare. Poi aggiunse che i miei figli stavano bene e mi congedò ingiungendomi di non tornare più a chiedere informazioni perché poteva finir male. Dopo tre mesi i miei figli tornarono a casa. Erano stati in una prigione di Assad e portavano i segni di torture che guarirono dopo un mese. Erano stati rilasciati dopo il pagamento alle guardie carcerarie di un riscatto ingente tanto che dovetti vendere la casa. Fu così che decidemmo di lasciare la Siria e andammo al Cairo dove ho una sorella.
Mettemmo su una piccola attività di ristorazione che ci dava da vivere,malgrado le intimidazioni della polizia egiziana che ci gridava di andarcene via. Dopo un po’ di tempo,tornando da Istanbul,trovai la frontiera egiziana chiusa per i siriani dietro ordine di Al-Sisi. A Istanbul ricominciai un’altra piccola attività di bar. Lavoravo con fatica perché contemporaneamente curavo il cancro al seno. Per fortuna le spese della chemioterapia erano a carico dello stato turco. Nel dicembre scorso tramite Facebook sono venuta in contatto con voi e volevo venire in Italia. La cosa era difficilissima e allora un mese fa mi dissi: ”Devi scegliere tra la barca della morte e la Siria”. Scelsi il mare e a Smirne mi imbarcai con altre trenta persone su un gommone. Pagai 1250 euro. In mare restammo venti ore perché lo scafista non aveva la bussola e smarrì la rotta. Sbarcammo a Samo in condizioni fisiche, ma fui aiutata dai medici greci. Ristabilitami andai all’aeroporto di Atene e presi un aereo Alitalia per Roma. Andò tutto liscio anche all’arrivo a Fiumicino grazie al fatto che parlai italiano. Poi presi il treno per Lecce dove voi mi aspettavate alla stazione.
Ora la casa mia è il telefono. Chiamo mio figlio che sta in Svezia o in Egitto e parlo con qualche amico nel mondo. Vorrei chiedere asilo politico in Francia e dunque tra un po’ di tempo, dopo una sosta presso parenti che stanno a Parma, prenderò un treno per Parigi.Tutto il mio avere è questa borsetta dove c’è dentro un po’ di biancheria e le scarpette per ballare il tango,che è la mia grande passione. Lentamente e senza piangere riprenderò la mia vita e vi inviterò un giorno a casa mia nella provincia francese”.
Ora Nadia è a Parigi e questa settimana farà la domanda di asilo. Qui ho riassunto le sue conversazioni. Sono felice che la lingua italiana sia servita a dare coraggio e salvezza a una persona di Aleppo, città sull’orlo di una catastrofe a causa della guerra. Ho anche con me la registrazione di una conversazione con lei, ma ho preferito questa forma di racconto perché in questo momento conta la sola realtà dei fatti, che parlano da sé. Nadia è da considerare già come una ”cittadina europea in lista d’attesa” e non come una migrante o peggio una clandestina. Spero di avere ragione: ”Benvenuta in Europa,Nadia”.
Corigliano d’Otranto,
11ottobre2015 Dante Blagho