Ci piacerebbe tanto commentare la vittoria di Gianfranco Rosi (Sacro GRA, un documentario, Leone d'oro) e il Gran Premio della Giuria a Tsai Ming-Liang alla Mostra del Cinema di Venezia, la 70ª in ordine di tempo, un risultato che premia il coraggio di Alberto Barbera (e su questo non c'erano dubbi), e dà un timido segnale di rinsavimento post-hollywoodiano, ma ci tocca parlare d'altro, riservandoci di approfondire il verdetto veneziano da un'altra parte, su altre pagine. E di chi deve parlare un soggetto reduce da quattro giorni di stacco (però non totale) dalle vicende italiote se non di Silvio? Altro che tormentone. Il fatto è che il Nostro, paragonato ai due “mostri” di cui sopra, si riduce drasticamente a livello di microrganismo: un insignificante figurante trasformato in protagonista da una pletora di accattoni che manco Pier Paolo(Pasolini). Silvio è antitetico alle idee stesse di cultura, di sensibilità, di emotività, del piacere unico che si prova guardando un bel film. Lui è una sorta di continuatore delle farse di Fatty Arbuckle (i lettori di Hollywood Babilonia avranno sicuramente capito il perché di tale accostamento), un personaggio che sullo schermo faceva ridere a crepapelle, ma che nel privato era un capo Unno di quelli che dove passava non cresceva più l'erba. Eppure siamo qui a parlarne ancora, senza ritegno, dopo una sentenza di terzo grado passata in giudicato, dopo le risate irrefrenabili di tutto il mondo civile e perfino della Lucertola di Gesù Cristo della Foresta pluviale dell'Amazzonia, quella che cammina sull'acqua, come dopo ogni aggiornamento delle vicissitudini del redivivo Pellico che, non a caso, si chiamava anche lui Silvio. Se non avessimo continuato a seguire le notizie della politica, avremmo pensato di vivere in uno di quei filmacci da cabaret di quart'ordine che piacciono tanto a Silvio (quello pregiudicato) e alle sue industrie e invece, purtroppo, la realtà supera di gran lunga perfino le battute più intelligenti di Checco Zalone. Tutto ciò è un delirio, con Domineddio che ricatta pure la perpetua di Don Abbondio, perché con il curato non c'è partita. E allora via con le minacce a LettaLetta, al di lui secretaire 6 Gennaio, al Birraio di Bettola che vorrebbe tanto imitare quello di Preston ma non ce la fa, e a tutto il Pd che, poverino, se fosse un soggetto vivente e non la sigla di un partito, starebbe tutto il giorno a farsi canne invece che occupare la scena politica di un paese alla frutta. Pensate, dopo aver ciurlato nel manico con la storia del ricorso alla Corte per i Diritti dell'Uomo, i geni del Pdl si sono inventati la revisione del processo, addirittura un nuovo processo che cancelli di fatto le tre sentenze già emesse (e passate in giudicato) e ridia una verginità da fedina penale illibata al più grande statista che la storia repubblicana ricordi. C'è da dire che la revisione del processo può essere richiesta. Spesso è accaduto con sentenze passate in giudicato ma di mezzo c'era una condanna all'ergastolo, mica a un anno di servizi sociali nel collegio delle Orsoline. La revisione è possibile, dicevamo, nel momento in cui intervengano fatti nuovi, emergano insomma novità o vengano sottolineati particolari ritenuti irrilevanti nelle prime fasi di giudizio. Ora, sapete qual è il fatto nuovo? Frank Agrama, che già dal nome è tutto un programma, non sarebbe l'occulto manovratore dei diritti televisivi alle stelle per creare fondi neri, ma uno stimato e rispettato mediatore cinematografico conosciuto in tutta Europa per la sua indiscussa e indiscutibile professionalità. Sembra che questo fatto, di per sé, possa comportare la revisione del processo a carico del Capataz. Nessuno ci crede ma sapete com'è... a casa di Pinocchio le menzogne non sorprendono più nessuno. Domani riunione della Giunta per le elezioni. Scommettiamo in un rinvio da record? No? In effetti...
Magazine Politica
La storia di Silvio e della “Lucertola di Gesù Cristo” dell'Amazzonia
Creato il 07 settembre 2013 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Ci piacerebbe tanto commentare la vittoria di Gianfranco Rosi (Sacro GRA, un documentario, Leone d'oro) e il Gran Premio della Giuria a Tsai Ming-Liang alla Mostra del Cinema di Venezia, la 70ª in ordine di tempo, un risultato che premia il coraggio di Alberto Barbera (e su questo non c'erano dubbi), e dà un timido segnale di rinsavimento post-hollywoodiano, ma ci tocca parlare d'altro, riservandoci di approfondire il verdetto veneziano da un'altra parte, su altre pagine. E di chi deve parlare un soggetto reduce da quattro giorni di stacco (però non totale) dalle vicende italiote se non di Silvio? Altro che tormentone. Il fatto è che il Nostro, paragonato ai due “mostri” di cui sopra, si riduce drasticamente a livello di microrganismo: un insignificante figurante trasformato in protagonista da una pletora di accattoni che manco Pier Paolo(Pasolini). Silvio è antitetico alle idee stesse di cultura, di sensibilità, di emotività, del piacere unico che si prova guardando un bel film. Lui è una sorta di continuatore delle farse di Fatty Arbuckle (i lettori di Hollywood Babilonia avranno sicuramente capito il perché di tale accostamento), un personaggio che sullo schermo faceva ridere a crepapelle, ma che nel privato era un capo Unno di quelli che dove passava non cresceva più l'erba. Eppure siamo qui a parlarne ancora, senza ritegno, dopo una sentenza di terzo grado passata in giudicato, dopo le risate irrefrenabili di tutto il mondo civile e perfino della Lucertola di Gesù Cristo della Foresta pluviale dell'Amazzonia, quella che cammina sull'acqua, come dopo ogni aggiornamento delle vicissitudini del redivivo Pellico che, non a caso, si chiamava anche lui Silvio. Se non avessimo continuato a seguire le notizie della politica, avremmo pensato di vivere in uno di quei filmacci da cabaret di quart'ordine che piacciono tanto a Silvio (quello pregiudicato) e alle sue industrie e invece, purtroppo, la realtà supera di gran lunga perfino le battute più intelligenti di Checco Zalone. Tutto ciò è un delirio, con Domineddio che ricatta pure la perpetua di Don Abbondio, perché con il curato non c'è partita. E allora via con le minacce a LettaLetta, al di lui secretaire 6 Gennaio, al Birraio di Bettola che vorrebbe tanto imitare quello di Preston ma non ce la fa, e a tutto il Pd che, poverino, se fosse un soggetto vivente e non la sigla di un partito, starebbe tutto il giorno a farsi canne invece che occupare la scena politica di un paese alla frutta. Pensate, dopo aver ciurlato nel manico con la storia del ricorso alla Corte per i Diritti dell'Uomo, i geni del Pdl si sono inventati la revisione del processo, addirittura un nuovo processo che cancelli di fatto le tre sentenze già emesse (e passate in giudicato) e ridia una verginità da fedina penale illibata al più grande statista che la storia repubblicana ricordi. C'è da dire che la revisione del processo può essere richiesta. Spesso è accaduto con sentenze passate in giudicato ma di mezzo c'era una condanna all'ergastolo, mica a un anno di servizi sociali nel collegio delle Orsoline. La revisione è possibile, dicevamo, nel momento in cui intervengano fatti nuovi, emergano insomma novità o vengano sottolineati particolari ritenuti irrilevanti nelle prime fasi di giudizio. Ora, sapete qual è il fatto nuovo? Frank Agrama, che già dal nome è tutto un programma, non sarebbe l'occulto manovratore dei diritti televisivi alle stelle per creare fondi neri, ma uno stimato e rispettato mediatore cinematografico conosciuto in tutta Europa per la sua indiscussa e indiscutibile professionalità. Sembra che questo fatto, di per sé, possa comportare la revisione del processo a carico del Capataz. Nessuno ci crede ma sapete com'è... a casa di Pinocchio le menzogne non sorprendono più nessuno. Domani riunione della Giunta per le elezioni. Scommettiamo in un rinvio da record? No? In effetti...
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