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Quarto appuntamento della LXVIIa. Festa del Teatro di San Miniato, questa sera all'ex Chiesa di San Martino.
Il titolo è suggestivo: "Giovanna al rogo - Storia di una identificazione", perché presuppone una chiave di lettura che propone un'angolatura ostica particolare.
Che non parte dalle gesta, dalle scelte di campo o dal processo, ma dall'analisi dell'identità che essa rappresenta.
Anche la messa in scena è particolare.
Due attori.
Lombardo Fornara, nel ruolo di un frate-testimone che scompone la storia di Giovanna per raccoglierne i tratti che più identificano le proprie gesta.
Luisa Guicciardini, che non pronuncia una sola parola, ma impersonifica Giovanna raccontandola con i gesti della sua danza.
Il frate parte, con la sua "discussione", dalla fine della storia, parte da dopo il rogo, da quando le ceneri di Giovanna furono raccolte e disperse nella Loira, su ordine degli inglesi, per paura che venissero venerate.
E poi scende a ritroso, alle parole e alle testimonianze raccolte nel processo.
Sottolineando il paradosso, di come il processo che la condannò per eresia in realtà costruisce il primo elemento che costruirà il monumento alla sua santità.
La parte finale, quella che ripropone il rogo di Giovanna, è caratterizzata dalla proiezione sulle pareti della sala, come scenografia, di alcune scene del film di Carl Theodor Dreyerun, "La passione di Giovanna D’Arco", del 1928.
Una delle pietre miliari del cinema, forse l'ultimo capolavoro del cinema muto.
Si tratta di un autentico capolavoro per l’uso del montaggio, dei primi piani, dei simbolismi, e delle deformazioni espressioniste.
Non è solo un grande film per il mirabolante uso della tecnica cinematografica, ma è anche la sublimazione del mito di Giovanna D’Arco.
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