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la storia di via rotta

Da Foscasensi @foscasensi
È una notte di agosto del 1980. Dal paese di Metato una strada non carrozzabile porta alla fontana e più sopra al bosco. Due figure si tengono strette e a tratti una di esse rallenta il passo, forse per la salita (impraticabile per mezzi che non abbiano quattro ruote motrici). Lungo il ciglio la massa dei noccioli e dei pruni nasconde un muretto a secco, sull'altro lato uno spacco di ghiaia vola metri e metri verso valle, e si perde nel vuoto.
Il sentiero si chiama Via Rotta, o Via Ró. Greta, stavolta una Greta quindicenne, rallenta il passo e lascia che sia Luciano a sostenerla, e così chiacchierano, a voce bassissima.
“... c'è una gran quantità di cose da preparare per un matrimonio”, dice Greta che sta pensando alla propria festa. Una folla in una mattina di sole, una cascata di fiori e soprattutto uno sciame di donne al suo strascico. Tutte accalcate rosse in viso, tutte neanche lontanamente paragonabili a un décolleté come questo, pensa adagiando due dita alla base del collo. Cosa sia dopo, è una fantasia confusa. Il suo corpo premuto oltre ogni necessità contro quello di Luciano emana una temperatura mite e risponde con l'energia dell'età al peso di un'emozione crescente.
“Per esempio le bomboniere. Sarà da decidere il colore e le dimensioni, e siamo già in ritardo. Vorrei ricamare dei centrini con le nostre iniziali e riempirli di confetti. Oh, come sarebbe bello un nastro di raso!”.
Ma Greta smette di parlare. All'improvviso il corpo di Luciano si è fatto rigido. Sulla cima dell'erta la strada si è sciolta in uno spiazzo di terra senza luce, gli aghi di pino cancellano i passi; sul fondo, poco prima che si apra la bocca del bosco, una fontana mormora sottilissima.
Ecco, ci siamo. Il giorno in cui Fosca ha trovato forma nel buio della sostanza materna (è nata nel maggio del 1981) Greta e Luciano sono creature quindicenni e indecise: il filo d'acqua sul buco d'ardesia, la voce dei ghiri e gli uccelli notturni, la promiscuità delle fessure di bosco aperte dall'uomo: come ci si comporta alla fonte di via Ró?
 
La storia di Via Rotta.
Ogni nome è un compendio, ogni riassunto è una storia e la storia di Via Rotta è quasi una leggenda. Due fratelli si amavano al punto di dividere lo stesso cibo e lo stesso tetto anche in età adulta, quando il maggiore aveva già una casa e una moglie. Ai tempi della storia via Rotta attraversava il bosco e scendeva verso il mare dove si teneva il mercato del pesce.
Un giorno successe che il minore si ferì nei campi. Andarono a chiamare l'altro. Tuo fratello sta male, dissero, per disattenzione si è tagliato la mano con la falce. L'uomo restò con le forbici a mezz'aria, guardò in alto e rispose: “Mio fratello Elio è stato uno sciocco a non prestare attenzione al suo lavoro, e ora il cielo è livido e la vigna è colma di frutto. Perderò il raccolto se non termino la vendemmia stasera stessa. Manderò un garzone a soccorrere mio fratello”. Così disse e continuò a lavorare.
Il giorno dopo si apriva il cielo e pioveva come non aveva mai piovuto. Al caldo del camino il minore sudava ed era pallido e non poteva stare in piedi.
“Finora ho creduto che ci amassimo ma adesso che so che non è così quella mano sta diventando cattiva”, disse.
Il maggiore si stupì nel sentire il fratello parlare in quel modo e capì che era molto grave. Così dette un bacio alla moglie e il figlio, indossò una mantella e uscì nella pioggia. Gli alberi erano torce sgomente. La pioggia ruscellava lungo canali scavati fra gli aghi di pino. I fulmini lasciavano pietre e tronchi folgorati come grumi di vetro e di carbone. Per trovare un medico era necessario prendere il sentiero, l'unico, che conduceva al mercato del pesce e di conseguenza alla città. Ma quando il maggiore ebbe percorso l'erta fino alle pendici del bosco una massa di fango si staccò dal monte e lo travolse.
Questo si pensa perché il fratello non fece più ritorno.
Passarono gli anni. Il minore coltivava la vigna e aveva una moglie. Una sera di ritorno dai campi trovò un vecchio accoccolato ai piedi della rimessa degli attrezzi e lo invitò in casa propria. Quando entrarono la cena era pronta e i bambini giocavano su un pagliericcio cambiato di fresco.
“Come vi chiamate?” disse il vignaiolo al vecchio.
“Tobias”
Il minore ripeté con le labbra la parola del vecchio, in silenzio. Poi sventrò una pagnotta e la tuffò in una scodella di zuppa. “Voi portate il nome di mio fratello maggiore. Egli è scomparso molti anni fa lasciandomi questo ricordo”. Adagiò sul tavolo una mano destra senza più forma. Un sorriso di pelle bianca attraversava il dorso; le ossa erano cresciute sotto come nodi aggiuntivi alle articolazioni delle dita.
“Dev'essere una disgrazia terribile”, disse Tobias.
“Al contrario – rispose il minore – questa mano può spaccare una noce di cocco come una clava. O la testa di un uomo”.
Quando il minore aveva posto la mano sul tavolo Giovanna strusciava piatti in un catino di rame. Tre figure ne seguivano i movimenti come si guarda un aratro. A Tobias non sfuggì il più alto, che somigliava alla madre per i denti e l'attaccatura dei capelli bassa quasi al modo delle scimmie. “Avete molti bambini, anche se siete giovani”, disse.
“Giovanna è vedova, il marito è rimasto travolto da una valanga – il vignaiolo indicò col mento il ragazzo alto –. Il primogenito viene dal precedente matrimonio. Per la verità quando il marito lasciò questa donna essa era incinta di un altro figlio. Io l'accolsi ugualmente e lei partorì un bambino morto”.
“Amate il vostro figliastro?”
“Oh, no. Ho sempre detestato quel piccolo verme.”
Detto questo gettò il resto della pagnotta nella zuppa e lo rovesciò più e più volte nel fondo della scodella finché non fu una massa molle. Poi la infilzò con un coltello e la ingoiò.
Quella notte la porta del fienile del vignaiolo si aprì di pochissimo. Quando Tobias sentì toccare una spalla ebbe paura e tentò di urlare. Un'altra mano lo fermò e disse: “Silenzio, Tobias. Sono Giovanna”. Una figura sedette sul suo pagliericcio. Era vestita leggera e teneva i piedi raccolti sotto la gonna come per scaldarli. “Ho poco tempo – riprese – Elio si sta preparando per dormire. Mette la camicia da notte, lava i piedi, e poi unge quella cosa. Ci vuole almeno mezzora. Per evitare che l'osso perfori la pelle”. Giovanna si torse le mani. “Una volta è successo, ma non posso pensarci. Tobias, devi tornare”
La barba del vecchio si mosse come a un soffio di vento: “Tornare dove?”
Giovanna si fece vicina,
“Qui, devi tornare qui. Tu sei Tobias e questa è la tua casa”.
Il vecchio tentò di protestare, essa si strinse al vestito, al pagliericcio e all'ombra dove non ci sono mai colori e la barba sul suo corpo era una piccola mancanza di significato sulla quale lei aveva appoggiato il petto e il collo si era piegato in una curva ed era morbida e non aveva confini o se ne aveva erano di insostenibili, come l'acqua nuotata dal cigno.
E così restò quando Elio ebbe messo la camicia da notte, si fu lavato i piedi ed ebbe atteso Giovanna, e non trovandola era sceso al fienile, e aveva preso il vecchio per un braccio e l'aveva trascinato lungo il sentiero, nel buio. Poi era ritornato e Giovanna l'attendeva nel letto, ed esso aveva un odore dolce e umido terrificante. Il giorno dopo  qualcuno percorse il sentiero che scendeva verso il mare dove si teneva il mercato del pesce. Sul ciglio c'era un vecchio col cranio sfondato.
 
Luciano dà un calcio a qualcosa di consistente. La cosa fa la trottola e si ferma a poca distanza dalla fontana, come su un tappeto.
“Hai sentito, Greta?”
“Sentito cosa?”
“Appunto: qui non si sente niente. Le cose non fanno rumore”.
Si guarda intorno. Altre cose non fanno rumore nel corpo di Greta e prendono una nuova direzione senza che lei ne sappia nulla. Luciano osserva un crepaccio aperto lungo la strada. Prima ancora dell'erba gli sterpi si sono arrampicati lungo le pareti del foro e ne hanno cancellato i confini. È una fossa d'erba, inghiotte chi ci mette un piede per le more o i nidi d'uccello. Sotto una sghiaiata lunga un chilometro e pareti di spacchi di sasso.
“Nessuno deve averlo mai tolto da là”, pensano in due.
Greta adesso è sull'orlo e guarda Luciano con vaghezza perché non può distinguere gli occhi dalla faccia. “Dunque secondo te il vecchio era quel Tobias, erano la stessa persona”
“Naturalmente si tratta di un racconto”, risponde una voce lucianìle, non adulterata da emozioni o movimenti, “ma se fosse vero, sì, io penso che fossero il medesimo uomo”.
Parte un secondo calcio e un'altra cosa acciottola e subito muore come non fosse successo nulla. Perché questa è la manifestazione del presente: che ha insieme le qualità dell'infinito e del momento, che lascia sempre sazi e sempre assetati, e che sapere altro rispetto a quel che cambia è una specie di errore vergognoso.
“Oh – dice Greta già irrimediabilmente lontana da qualsiasi cerimonia di nozze, da qualsiasi pensiero di gravidanza, lontana dalla cena di sugo di tambure e polenta, lontana dalle scarpe e dai calcagni spellati, e da un bisogno sempre crescente di fare pipì – ma questo non spiega niente!”
“Sì, non spiega i fatti – sospira la stessa voce – ma dice qualcosa del succo della storia. Non è nemmeno delle più elaborate e delle più belle, ma la storia di via Ró è una storia di vendetta, senza dubbio. E nei racconti la vendetta per regola ha di fronte un oggetto e un torto alle spalle”.
Greta si stringe a un braccio “E potrebbe...”
“Potrebbe tornare, sì. I vivi e i morti, le idee, i tempi, le storie. Tutto torna sempre”
Tutto torna sempre, anche la carne, le attitudini e l'ignoranza. Un figlio sta in cima e in fondo, prima di tutto dentro. È la più intima delle estraneità.Greta non lo sa. La strada dalla quale sono venuti è visibile nella sua parte finale. Adesso si stringe a Luciano e lo spazio dentro di lei è solo una piccola frattura. Dentro la frattura c'è un vecchio col cranio sfondato.
Questo post è un capitolo, per la precisione il capitolo 7 del mio ultimo (e primo) romanzo. L'ho inserito perché ha una sua autonomia e credo possa essere letto anche senza conoscere il resto del libro. Forse in fase di riscrittura sarà aliminato, forse verrà radicalmente cambiato. Non importa. Del resto ho già cancellato chilometri e chilometri di cose...

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