La storia strappata

Creato il 25 aprile 2012 da Albertocapece

Licia Satirico per il Simplicissimus

Ogni anno, nella notte tra il 24 e il 25 aprile, rileggo le Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana. È un volume a me particolarmente caro, donatomi dal nonno antifascista cui devo la passione civile e l’etica laica. Mi soffermo sulle parole bellissime di Paolo Braccini detto Verdi, docente universitario fucilato il 5 aprile 1944 da un plotone di militi della GNR: «Gianna, figlia mia adorata, è la prima ed ultima lettera che ti scrivo e scrivo a te per prima in queste ultime ore, perché so che seguito a vivere in te. Sarò fucilato all’alba per un ideale, per una fede che tu, mia figlia, un giorno capirai appieno».
Quella fede è stata contagiosa. Noi, i liberati, siamo figli di Paolo Braccini e di tutti quelli che hanno lottato senza esitazioni per la libertà e la dignità di questo Paese. Siamo i figli della Costituzione nata dalla liberazione dal fascismo: di quella Costituzione troppo spesso ignorata, definita “sovietica”, “obsoleta” e ora umiliata dall’inserimento del pareggio di bilancio come ultimo corpo estraneo.

Da qualche anno il 25 aprile è vissuto in modo schizofrenico: è una festa contestata, negata e rivisitata attraverso imbarazzanti tentativi di condivisione. Mario Monti, visitando il museo di via Tasso, ha tracciato un parallelo ardito tra la lotta di Liberazione e l’uscita dalla crisi economica. Napolitano invita a non dar fiato ai demagoghi dopo le polemiche sul corteo romano dell’Anpi, da cui Polverini e Alemanno, dopo i lanci di limoni dello scorso anno, sono stati esclusi. Il solito Cicchitto rincara la dose: «l’Anpi, a Roma, non farà una manifestazione unitaria ma solo quella di una parte precisa», trasformando i partigiani in estremisti. Anche Pierferdinando Casini, col pensiero rivolto al suo ecumenico Partito della Nazione, non perde un’occasione fondamentale per stare zitto e scrive su Twitter: «il 25 Aprile è ricorrenza importante, non può dividere gli italiani. Rattrista l’esclusione di Alemanno e Polverini dalle celebrazioni. Grande errore!».

Grande errore? Da qualche anno non solo il 25 aprile divide gli italiani, ma li qualifica per ciò che sono diventati dopo quasi un ventennio di berlusconismo populistico e postfascista. Fatti gravi finiscono negli orwelliani Buchi della Memoria, sepolti dagli appelli all’unità nazionale. Eppure risale a poche settimane fa la polemica indegna sulla morte del partigiano Rosario Bentivegna, che partecipò all’attentato di via Rasella. Francesco Storace lo ha definito “assassino” e la cosa è passata quasi sotto silenzio, amplificata anzi da insulti su Facebook alla memoria del partigiano scomparso. In alcuni municipi della Capitale il minuto di silenzio per Bentivegna è stato spartito con quello per la scomparsa del latitante Giorgio Chinaglia, in un grottesco melting pot postumo di antifascismo, calcio e disavventure giudiziarie. A pochi giorni fa risale la contestazione di un partigiano, con sberleffi e striscioni, in un liceo romano.

Se questa è la realtà sociale con cui dobbiamo confrontarci, con buona pace di Casini vogliamo restare divisi e lottare contro ogni rilettura mortificante del 25 aprile. È giunto il momento di dire no alla riconciliazione bipartisan, alle riletture moderate, alla negazione del significato civile della festa della Liberazione. È tempo di dire no all’equiparazione mistificante tra partigiani e combattenti di Salò, alla confusione tra le parti in lotta, alla pacificazione impossibile con valori che hanno mutato forma ma non sostanza. Il fascismo eterno è sempre presente in Italia: si è scorporato nella faccia perbene, in quella xenofobo-pittoresca e in quella irriducibile, ma è più vivo che mai. Non so voi, ma io non ho alcuna voglia di riconciliarmi col fascismo e con le sue mutazioni genetiche. Per me, allora come ora, c’era una parte giusta e una parte sbagliata. La fede di Paolo Braccini è anche la mia ed è offensivo ammorbidirla, blandirla, mutarne il senso in nome dell’unità, della lotta alla crisi o alla demagogia.
A noi resta il compito di continuare la Resistenza, che non è finita: ora più che mai occorre vigilare contro i rigurgiti liberticidi. Viva il 25 aprile, viva la Liberazione.


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