Magazine Diario personale
Qualche settimana fa avevo letto su un quotidiano locale alcuni articoli sui risciò, le carrozzelle a pedali che fanno ormai parte del paesaggio della nostra riviera. Ho cercato di recuperarli dalla pila dei vecchi giornali ma senza successo e anche su internet non ho trovato alcuna traccia. Questo mi ha un pò insospettito, mi sa tanto di insabbiamento. Forse certi argomenti sono troppo scomodi o forse la lobby dei noleggiatori è più potente di quel che si crede. Il fatto è, che ho avuto poche ma amare esperienze con questi trabiccoli e non riesco a parlarne con obiettività. Però sono in buona compagnia perchè se chiedete ad un residente qualunque cosa pensa dei risciò, dei tandem, dei quad, dei golf-kart e di tutti quegli improbabili veicoli che ogni estate invadono le strade (ma anche i marciapiedi), vi guarderà come se foste un agente di un paese nemico che si è appena tradito.
Ad ogni modo, riassumo brevemente la vicenda: un amministratore locale aveva rilevato che, stante la criticità della situazione del traffico in riviera, le carozzelle (e affini) fossero diventate un pericolo per la viabilità e la sicurezza. Subito i noleggiatori sono insorti per smentire questa tesi e per ricordare che intere famiglie fanno conto su quell'attività per guadagnarsi da vivere, come molte altre categorie di lavoratori stagionali. Per la serie: siamo tutti sulla stessa barca, perchè mai volete gettarci fuori bordo? Sarà anche vero ma personalmente non riesco ad esprimere alcuna solidarietà. Mi spiegherò meglio raccontando le mie esperienze in proposito.
La prima volta che sono salito su un risciò ero così piccolo da entrare nella panchetta sopra le ruote anteriori, quello appunto per i bambini. Non ricordo con chi fossi, sicuramente con mia madre (mio padre era in hotel a lavorare) e con alcuni amici di famiglia. Per quanto vago e lontano, questo è il miglior ricordo che conservo sull'argomento.
Molti anni dopo, nella tarda adolescenza (16-17 anni), io e il ragazzo che lavorava nella sala-giochi di fronte avevamo conosciuto due coetanee tedesche che alloggiavano nell'albergo accanto al mio e dopo alcune sere di tranquille passeggiate intorno all'isolato, abbiamo fatto il salto di qualità organizzando un giro sul risciò.
Non ricordo di chi fu l'idea, se del mio amico o delle tedesche, di sicuro non fu mia. Comunque, era l'occasione per aumentare la confidenza e sperare così in sviluppi interessanti. L'indifferenza e il distacco che ostentavano non erano affatto credibili e si capiva che prima o poi sarebbero capitolate. Ma erano tedesche e non potevano dare l'impressione di cedere senza ritegno alle avances di due maschi italiani e perdipiù romagnoli.
Dato che eravamo in quattro scegliemmo la vettura con doppio sedile e doppia pedaliera. Un carrozzone sorprendentemente pesante che insieme al divertimento, ci avrebbe assicurato una buona dose di fatica. Il mio amico salì per primo al posto di guida con una delle tedesche al suo fianco; io mi sistemai dietro con l'altra ragazza. Decidemmo di dirigerci verso una zona tranquilla e poco trafficata. Arrivammo ad un lungo stradone che costeggiava la ferrovia e ci lanciammo in una rincorsa sferragliante sull'asfalto.
Mi sorpresi di quanto potessimo andare veloce, considerando che eravamo in quattro in groppa al quel pachiderma di metallo. Ad un certo punto il mio amico iniziò a fare delle brusche sterzate a destra e a sinistra. Il carrozzone si piegava di lato sollevando leggermente due ruote, come se dovesse capottare. All'inizio mi spaventai un pò e anche le due ragazze iniziarono a lanciare strilli di paura e di eccitazione. Però tornavamo sempre saldamente su tutte e quattro le ruote, ribaltarsi con quel coso era impossibile. Con i modelli più piccoli era un altro paio di maniche ma noi eravamo su una limousine a pedali e non c'era da temere.
Le due tedesche erano così euforiche che una di loro volle provare a prendere il volante e ci fermammo per fare il cambio di pilota. La corsa riprese e anche le sterzate e le piegate, tra strilli e risate. Le cose si stavano mettendo al meglio, la strada era ormai in discesa... E fu proprio questo a fregarci tutti.
Dopo la tedesca venne il mio turno. A dire la verità, io non ci pensavo più di tanto, ero contento anche così ma l'euforia del momento e gli incoraggiamenti degli altri mi convinsero a dare un saggio delle mie abilità.Eravamo giunti alla fine del lungo stradone e decidemmo di invertire la marcia e di tornare indietro. Io montai al posto di guida e cominciammo a pedalare.Ogni cosa su questo pianeta ha i suoi limiti. Che sia animata o inanimata, le leggi della fisica non fanno distinzioni. La strada che avevamo appena percorso a rotta di collo era in leggera salita ma nessuno di noi ci aveva fatto caso; quindi, invertendo la marcia, la leggera salita diventò leggera discesa ma anche in questo caso nessuno ci fece caso. E quando mi ritrovai a testa in giù, in un groviglio di braccia e gambe, in un silenzio improvviso in cui spiccava solo il raschiare dell'acciaio e della plastica sul selciato, la domanda che mi rimbalzava dentro la testa come la biglia di un flipper non era come è potuto succedere? ma era sta succedendo davvero?
Pattinammo sull'asfalto per più di 30 metri prima di fermarci. Per rialzarci dovemmo districarci gli uni dalle altre e tutti insieme dal telaio del risciò. Ricordo che, per lo spavento e per la rabbia, riuscì a sollevare il carrozzone con un solo braccio. Avevo una spalla scorticata e un ginocchio dolorante ma lì per lì non ci credevo più di tanto: mi pareva un tale disastro che avrei potuto anche essere morto. Anche il mio amico aveva delle escoriazioni sulle braccia ma niente di più. Le ragazze invece... Una di loro portava una minigonna bianca e in una gamba aveva "brugole" che partivano dalla coscia e arrivavano alla caviglia e dalle quali si diramavano sottili rivoli di sangue. Avevano perso le scarpe e pure la piega dell'acconciatura: sembravano appena affiorate dalle macerie di un bombardamento. Piangevano e si lamentavano. Ci offrimmo subito di accompagnarle a casa o alla guardia medica ma non ne vollero sapere. Nonostante le nostre insistenze s'incamminarono con le scarpe in mano, zoppicanti e sofferenti per le vie affollate del centro, tra centinaia di persone che le osservavano turbate e preoccupate. Io e il mio amico decidemmo allora di riportare il risciò al noleggio, dove risarcimmo i danni (un pedale rotto) che giustificammo con una strisciata al marciapiede. Poi ci dirigemmo colmi d'angoscia verso casa. Non c'era traccia delle ragazze ma il giorno dopo le vedemmo caricare i bagagli in macchina insieme alle loro famiglie e lasciare l'Italia, immagino per sempre.
Per quanto mi riguardava, per una settimana fui una barzelletta vivente, con i miei familiari, il personale e tutti i clienti dell'hotel che discutevano dell'accaduto e mi trafiggevano con occhiate sarcastiche...(continua)
Le vacanze degli altri
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