Il matrimonio venne celebrato in pompa magna in un caldo mattino di Giugno. Il padre della sposa era elettrizzato, era stato conquistato da Giovanni. A vederli, genero e suocero, sembravano affiatati, legati da un feeling, da interessi comuni. La sposa fece il suo ingresso in chiesa con un abito color avorio , lungo, con un immenso strascico, ricoperto da perline luccicanti, le maniche velate e ricamate di fino. I capelli erano raccolti e sul capo sfavillava un diadema di diamanti. Il trucco era soffice, fatto con colori tenui e naturali. Lo sguardo era luminoso, gli occhi brillanti. In mano aveva un mazzo di rose panna e rosa pallido. Le rose erano il suo fiore preferito, forse perché avevano le loro spine. Lo sposo era molto elegante, aveva un vestito blu di seta lucida, una camicia bianca ricamata con le iniziali, sembrava un uomo fatto. La cappella della chiesa era gremita di una folla immensa di parenti e c’erano fiori e addobbi ovunque. La cerimonia fu sfarzosa, la torta nunziale di dieci piani, gli invitati numerosi. Fu un evento che suscitò un certo clamore. Ogni cosa era perfetta, messa al punto giusto, ma come insegna la vita, nessuna rosa è senza spine e ogni vaso ha la sua crepa. Giovanni aveva il volto teso, quasi balbettava fra le lacrime, sembrava non ragionare, si celava dietro un silenzio irritante. Pronunciò il fatidico si senza convinzione, come in letargo con un sorriso di sufficienza, forzato . Gli mancavano le forze per fronteggiare la folla degli invitati. Le loro risate fragorose erano per lui amare. Era tentato di far finta che non fosse accaduto nulla. In fondo nella vita niente diventa definitivo, eccetto la morte . Nel panico si metteva sulla difensiva, non mostrando la sua rabbia. Ignorava lo sguardo duro e fulminate del padre, che infieriva senza pietà. Guardava sprezzante le invitate che disgustosamente e in modo persistente si atteggiavano nei loro abiti lussuosi e si tormentavano a vicenda. Le giudicava in fretta come invitate scomode, presumeva che fossero ricche smorfiose . Era arrivato però a un punto critico in cui era impossibile desistere, arretrare, esonerarsi, ribattere, pungolare . Tuttavia si placò, non spiazzò gli ospiti con battute sarcastiche che pure gli venivano alle labbra spontanee. Il suo umore nero non divenne contagioso. Con la sua faccia pulita si era assicurato un percorso sul quale avrebbe resistito a lungo. Era spezzato nell’animo, intimorito, incredibilmente fragile dentro, ma convincente fuori, non si irrigidiva . Non perdeva la calma, non divagava, mostrava un placido sorriso insistente . Vibrava lievemente solo quando l’orchestra metteva antiche melodie struggenti. La sua tempra all’apparenza era solida. La festa gli sembrava spenta, credeva di non meritare quel lutto nel cuore. Gli sfuggiva il senso di quella serie di traversie amorose . Lo ferivano i ricordi dell’altra del passato, ma sapeva, ammetteva anche che il tempo modifica i ricordi. Comunque la mente pensava a Manuela il cuore all’altra. Nel viaggio di nozze gli sposi girarono molti paesi e città. Manuela voleva recuperare il tempo perduto. Per anni il padre non l’ aveva lasciata andare lontano. Nella sua mentalità solo gli uomini potevano viaggiare. Con lucida consapevolezza Giovanni sapeva di essere stato trasportato di peso in una realtà carica di tensioni, in una insulsa esistenza e persino con il suo consenso. Provava pena per se stesso che era stato complice di questo scempio. Non si dava pace . Si discolpava invocando il bene della famiglia. Lui avrebbe dovuto costruire il futuro della razza, era pronto a pagare. Con indignazione riconosceva il potere della famiglia. Lui refrattario al matrimonio si era sposato per adempiere preciso, incolume al suo dovere. A tempo debito avrebbe avuto la ricompensa, istanti di luce tutti per lui. La sua conversione al matrimonio era stata incredibile. Ogni tanto per sviare la mente, nelle pause di silenzio, ripensava alle immagini sfocate del suo passato amoroso e avrebbe voluto il ripetersi di certe esperienze. Impercettibilmente si sentiva avvolto in una bolla di invisibile tristezza. Un sottile diaframma lo divideva dal male di un esaurimento nervoso. Camminava su quel confine elastico sempre sul punto di cadere alla minima brezza. Almeno nei primi anni di matrimonio doveva mantenere le promesse fatte davanti all’altare. Ma la vita in comune gli appariva piena di enigmi, di lati oscuri, scoraggiante, micidiale per la sua libertà. Disorientato, accorato guardava la sua metà e gli sembrava venire da un mondo lontano fatto di solitudine. Lei era troppo prevedibile, forse perché le cose che abbiamo sotto gli occhi non ci stupiscono più, lei era troppo ordinata, riservata, docile, goffa, seria, poco disinvolta, poco decisa, sempre con lo sguardo basso, era monotona e stancante. Non era allegra, giocosa, vispa aveva sempre quel sorriso sinistro sulle labbra. Gli uomini invece non vogliono vedere la durezza nello sguardo delle donne. Lui la lasciava parlare senza ascoltarla nell’incantesimo del silenzio della loro casa. Giovanni impotente recitava la parte del bravo marito. Doveva entrare nello status psicologico di “marito”, nel travestimento che si era dato per poter vivere quel pericoloso passaggio, per poter transitare agevolmente verso soluzioni ignote ma nuove . Giovanni si accorgeva brutalmente di vivere una situazione strana. Il matrimonio gli appariva come una progressiva discesa agli inferi. Opporre resistenza, magari con una forza imprevista, non serviva. Si era pentito, avrebbe voluto essere richiamato indietro. Intanto anche nei primissimi anni di matrimonio Giovanni compiva piccole incursioni nel bel mondo dove era sempre ben accolto, se non altro per accostamento alla sua famiglia. Manuela all’inizio si era sentita invadere da una inaspettata e pulsante voglia di vivere, che si espandeva a macchia d’olio. Dopo i primi litigi, le prime incomprensioni erano cadute le sue certezze. Nella sequenza dei giorni il cielo dorato, luminoso sopra di lei aveva assunto una colorazione rossastra, scura, un aspetto stanco . Il drappo che copriva la sua vita piena di grandi prospettive era crollato mostrando dubbi, bugie, menzogne. Viveva come reclusa, distratta, non voleva vedere nessuno. Constatava ogni giorno che il marito mentiva, era arrogante, presuntuoso . Si persuadeva alcune volte che Giovanni era solo un marito stressato, forse un po’ impunito, poco affettuoso, come sono molti uomini, come era suo padre, poi scopriva con raccapriccio che lui la accoglieva controvoglia fra le braccia , che si spacciava per innamorato perso e non lo era, che mentiva spudoratamente, che la faceva fessa ogni momento. Tuttavia insisteva su quel cammino, lasciava correre pur mostrando segni di disagio. Voleva proseguire il matrimonio a ogni costo, recuperarlo, per evitare pettegolezzi e insinuazioni e quindi assecondava quella situazione anche se le era riservato un misero trattamento. Il marito non le rivolgeva mai uno sguardo benevolo, l’accusava di essere amorfa, inveiva rabbioso, la colpiva a tradimento con gesti e parole , correggeva con strani ghigni i suoi sbagli, non le riserbava una calda accoglienza la sera . Manuela aveva la forza di resistere nonostante i colpi terribili che giungevano ogni volta. Suo marito era solo un uomo calcolatore, misurato, freddo e ora non le appariva più, irresistibile. Un uomo bello con il volto rabbioso può essere più mostruoso di un orco. I suoi occhi, che avevano la quieta dolcezza di un bosco autunnale, avevano capito che Giovanni poteva essere considerato da lei solo un collaboratore, un supporto, un punto di riferimento. Quel matrimonio era una fatica, da cui avrebbe voluto sgravarsi. Con il senno di poi comprese che avrebbe dovuto prendersi almeno una pausa. Ma lei si era regolata la sua vita e aveva scelto la strada che provocava meno conseguenze nefaste. Recitava la sua parte con noncuranza, ammutoliva nella morsa del gelo del suo cuore, che nel profondo conservava intatto il profumo dell’amore, il profumo di cose perdute. Ignorava persino i complimenti che le rivolgeva di tanto in tanto suo suocero. Sembrava irriconoscente verso quell’uomo che la adorava. Tuttavia per una questione di orgoglio appariva ai suoi occhi imperturbabile, non metteva in luce le sue debolezze, le sue sofferenze, le variazioni del suo umore. Non voleva la sua compassione, ne quella degli altri . Con un sorriso forzato seguiva con attenzione le parole del suocero, che spesso irrompeva all’improvviso nella loro vita, senza fermarsi davanti a niente. Spesso molte relazioni finiscono proprio per la ingerenza dei parenti stretti. Al suocero diceva lo stretto necessario, non apriva il sipario sullo spettacolo della sua vita grama profondamente colpita negli affetti. Il comportamento che aveva davanti al suocero strideva visibilmente con quello che aveva nella malsana, stagnante vita domestica. Il suo ego ferito era andato in pezzi, viveva nella solitudine e nell’abbandono, nell’umiliazione e covava rancore . Nel privato della sua stanza con occhi assenti, inespressivi, con espressione rassegnata, rivolgeva una muta richiesta di aiuto a Dio nell’ingenua speranza di essere salvata. Dio si era preso gioco di lei senza lasciarle scampo. Non sapeva ancora che Dio non ascolta chi si lascia cadere tra le braccia del narcisismo, dell’ambizione e della ricchezza, chi si lascia irretire da cognomi vincenti, nobili e famosi. Manuela si era orientata silenziosa non verso il cielo ma verso i beni terreni per fare il grande salto, verso ambiziose mete allettanti. Aveva seguito l’orgoglio, oltre che il piacere dell’amore . Aveva solo cercato di placare l’istinto della sua razza, quello di ascendere verso vette eccelse, verso giuste piste, verso sentieri immortali . Lei dava credito alle parole misteriose, ai suggerimenti convincenti del suo sangue. Aveva sposato un uomo ricco come suo padre. Con piglio denso respingeva lo schiaffo oltraggioso del destino per riscattare la sua esistenza. In lei abitavano più personalità ma fece emergere a un certo punto la vena artistica. Si consolava con la musica che riempiva, ingombrava la sua vita. Gli antichi sospetti, i diverbi con il marito non li viveva più come drammi, non si abbandonava più ai ricordi del giorno delle nozze . L’amore non era più un nemico terribile, anche se il suo rapporto degenerava e lei si preparava al peggio. Aveva qualcosa in serbo di cui rendere partecipi gli altri, aveva la sua arte, il suo talento con cui godersi attimi di ininterrotto piacere. Il tassello mancante della sua vita era proprio forse la sua mancata realizzazione. Forse si sarebbe realizzata attraverso l’arte. Aveva in mente una cosa sola: colmare con la musica il vuoto improvviso della sua vita. Frenetica con la voce impostata, cupa seguiva il fremito della sua ambizione, cantava e suonava seria, senza saltare le lezioni di musica . Imperterrita seguiva solo il consiglio del suo cuore: ascendere nell’olimpo dell’arte. Ogni giorno lavorava sodo, si perdeva nei dettagli per avere una ricompensa, un trionfo. Rimetteva insieme i pezzi della sua vita inseguendo la moltitudine invisibile dei suoi pensieri, senza rivelare i suoi progetti a nessuno. Era un esempio di forza. Giovanni nonostante il rapporto matrimoniale fosse usurato, malridotto, quasi svanito come un profumo nell’aria voleva avere un figlio, un erede. Nella sua casa signorile, sfarzosa, mondana, di buon gusto voleva ascoltare il pianto disperato di un bimbo, di un neonato. Non voleva una casa spoglia, simile a una casa disabitata . Voleva anticipare a suo padre la notizia della nascita. Era ormai un’idea pressante non più occasionale. Volere restituire normalità alla sua vita, ormai alterata. Aveva svelato le sue intenzioni a sua moglie, aveva appurato che lei non era d’accordo. Questo suo atteggiamento chiuso su tale argomento denotava una autentica antipatia per la vita familiare. Il discorso sembrava irrecuperabile. Manuela seria e composta respingeva la maternità. I suoi silenzi a tal proposito erano indecifrabili, i suoi no dilagavano con lentezza. Solo la musica travolgeva la sua vita, destava scalpore nella sua anima, evocava per lei paradisi artificiali dove lei si rifugiava senza profanare troppo la sua vita domestica. Le riflessioni personali di Giovanni erano amare, le sue parole viziate di odio represso. Un pomeriggio di fine Aprile, piovoso mentre Giovanni riordinava la sua scrivania meticolosamente fu chiamato dall’avvocato di suo padre. L’uomo molto delicatamente lo informò che suo padre era deceduto con un infarto, per cause naturali, nella sua stanza . Tutto era avvenuto repentinamente, in un attimo. L’uomo potente, spregiudicato, viziato era andato via da questa vita in punta di piedi, nessuno si era accorto della sua assenza, eppure era un uomo che contava, eppure era un uomo che si curava con farmaci costosi. Era passato attraverso il muro del buio e del silenzio solitario, lasciando una debole traccia, come quella di una lumaca . La sua vita si era trasformata in qualcosa d’altro che nessuno sapeva, non c’erano spiegazioni, soluzioni. La morte l’aveva reso inerme anche nel barlume dorato del suo mondo. Ormai l’anima di Vincenzo si addentrava, si imbatteva nell’ordinato mondo dell’aldilà. Il suo sguardo fisso nel vuoto era vivido, quasi puerile. La sua anima probabilmente ignorava la freddezza terrificante della morte, quella che toglie ogni prospettiva. A suo carico c’erano mille peccati di gioventù, ma il peccato più grande era quello di superbia, la sfida che lui aveva ingaggiato con il mondo, il disprezzo folle che aveva nutrito per la gente comune , per il valore stesso del tempo, del denaro, dello spazio . Nella strana quiete della sua vita Vincenzo era convinto di essere speciale, esposto solo alla luce della vittoria, del successo . Vincenzo non aveva condotto un’esistenza piena di disciplina e abnegazione. Come un forsennato, senza emozioni, si era lasciato andare senza consapevolezza, senza motivo, nel mare della crudeltà fatto solo di distrazioni, di desideri. La sua vita fatta di compromessi inutili, si era adattata alle circostanze in cerca solo di conferme. Non era certo stato premiato per la sua condotta. Aveva vacillato ed era caduto fra le spire della morte. Non aveva potuto ammirare la continuità della sua stirpe, non aveva visto nessun nipote. Tutto questo significava un inatteso segno del destino, sbiadito forse, ma che destava allarme. La sorte non ammetteva repliche, concedeva solo fallimenti. La strategia del destino era radicale, repentina, non casuale. Vincenzo non era stato ligio alle regole del buon vivere e nella complessa catena di inganni rimanevano sospese nell’aria solo le dolorose domande di suo figlio, domande che avevano paura delle risposte . Giovanni giunse al capezzale di suo padre quando nell’atrio si era già radunata una folla di curiosi, senza lacrime. Nella stanza lontano dagli sguardi, ritirato per una volta , forse per la prima volta in vita sua, si era spento suo padre. Gli lasciava un cospicuo patrimonio, una eredità notevole. Ogni dettaglio della stanza di morte scatenava in Giovanni memorie e ricordi di vario tipo. Giovanni toccava con mano i punti oscuri della vita. L’aggressione della morte lo lasciava basito, disorientato, incapace di reagire. La morte, mancando di tatto, mandava in frantumi i vetri del suo mondo, lo gettava nel panico . Amaramente constatava che non serviva ribellarsi, protestare. Eppure nei percorsi mentali del suo cervello la vita aveva l’armonia perfetta dei fiocchi di neve che cadono come farfalle. La morte era confinata in un posto lontano. La vita per lui non aveva tanti segreti, memorie, era una magica alchimia dove lui era un uomo speciale come suo padre . La morte, aggressiva, invadente, gli procurava un insensato timore per il futuro, contaminava i suoi giorni, li riempiva di dubbi . La morte gli faceva l’occhiolino, ammiccava con la sua sadica fantasia, gli dava sensazioni di pericolo mai provate. L’ombra indefinita della morte aveva annientato suo padre. Davanti alla spoglia inerte di suo padre per la prima volta aveva la percezione netta che la vita era ostile, che il suo comportamento poteva essere irriverente. L’unica cosa certa era che lui era l’unico figlio diletto, erede universale e che l’eredità non era contesa. Poteva, con grande semplicità, senza strepiti, senza fretta lottare contro il tempo, ingannare la morte e accaparrarsi la sua fetta di torta, sfiorare la ricchezza assoluta. Doveva essere risoluto, non riconoscersi a livello mentale nella umanità sofferente. Se voleva salvarsi non doveva indagare, capire, doveva solo assopirsi fra le fragranze profumate della vita, come facevano tutti del resto. Doveva fermarsi sul confine della vita, in bilico e dilatare gli attimi di pace, stabilizzarsi nella maschera del suo travestimento per sfuggire alla morte, per passare inosservato. Bastava fingere di credere che suo padre fosse veramente in un possibile luogo di pace. Mille riflessioni accompagnarono suo padre durante le esequie. Guardava la bara di legno, uguale per tutti, senza gli orpelli della vita, senza filtri e registrava nel suo cuore una collera infinita per la vita, collera sterile. La vita euforica, piena, cortese si riduceva in un buco di cemento nel muro dove entrava la bara e dove tutto era acqua passata. Era deprimente nonostante i buoni propositi, bisognava difendersi. Giovanni con il volto tirato, con sussiego, con espressione assorta seguì il funerale di suo padre. Esaminava le personalità presenti con distacco, tutta quella distinzione non lo riguardava. Tentava solo di resistere alla disumana tristezza, con la fiducia che vacillava. La morte era un’intrusa che gli contaminava il cuore. Durante il funerale aveva anche focalizzato alcuni dettagli stonati, fuori posto, anomalie . Molti partecipanti, che si erano definiti amici del defunto, avevano sul volto una nota di sarcasmo, nei tratti delicati del volto avevano un ghigno come se provassero un piacere segreto. In quel mondo pieno di ombre importanti la gente era distratta, senza nostalgia, senza un barlume di pietà . Molti indugiavano a guardare le corone, altri sembravano infastiditi da quello spettacolo spiacevole. Dove si annida la morte si ha premura di fuggire, è l’ultima difesa. Molte erano le persone presenti, alcune inattese. Manuela aveva le guance accese, lo sguardo concentrato a scandagliare il silenzio, alla ricerca di un riparo nel buio, mentre sussultava fra le lacrime . Non poteva fermare il tempo e quindi doveva congedare suo suocero fra le folate di vento, la nebbia e il rumore sordo dei rami degli alberi, le uniche cose che le garantivano un contatto con il mondo. La bara liscia caricata a spalla dagli amici si avviava veloce verso la fine, fra l’odore dolciastro dei fiori. Per un malvagio disegno superiore, disegno di morte, suo suocero era caduto nelle pieghe oscure della morte pericolosa , nel suo mondo segreto e terribile. La sequenza logica della vita, la sua corsa impetuosa aveva trovato un inciampo non da poco. Scoraggiata si immedesimava in tutte le persone morte, inconsapevoli, che con le loro storie consumate alle spalle, senza lasciare tracce visibili, erano cadute nel segreto invisibile della morte, male antico e eterno dell’umanità . Provava pena, compassione per loro. La morte nel mondo era fuori posto. Mentiva a se stessa quando diceva che la vita era un approdo sicuro, un piccolo regno felice. Procedeva a distanza di sicurezza dal feretro con un fardello nuovo di consapevolezza. Bisognava avere una forte capacità di recupero, trovare calde parole di conforto, mantenere il controllo, senza esitazioni. Per rimanere nel tempo senza essere dimenticati c’era la possibilità di realizzarsi nell’arte che garantiva l’immortalità, almeno sulla carta. Attraverso l’arte si possono lasciare tracce del proprio passaggio sulla terra. Una scultura, una poesia si sottraggono all’usura del tempo. Lei poteva sfuggire all’occhiata feroce della morte , alla sua pozza scura, con la musica. C’era però un’altra possibilità per allontanare la viscida morte, per salvare la vita, per dimenticare albe incompiute di una vita sprecata: generare un essere fatto di carne. Questa era una consolazione esaltante, quella di ricreare la vita su nuove basi. Nel silenzio del suo cuore, immobile, assimilò lentamente l’idea di essere madre. Il desiderio di maternità non aveva una giustificazione, era tipico delle donne . La maternità era pur sempre un obiettivo , che aveva un senso Pochi mesi dopo il funerale ebbe la precisa sensazione di essere incinta. Quell’attesa allentava le inutili tensioni in famiglia, le gelosie di Giovanni, il suo comportamento scorretto, le sue piccole vendette volgari che le procuravano un forte disagio. Con la mente svuotata, con l’aspetto un po’ trasandato, senza particolari reazioni aspettava confusa l’esito delle analisi. Non sapeva molte cose della gestazione, il suo procedere, non conosceva scientificamente tutti i dettagli. Con il foglio delle analisi in mano guardava quasi senza vedere il responso. Scorreva veloce con gli occhi velati, i risultati della prova sentendo dentro di sé già i sintomi, i malesseri della gravidanza. Dentro di lei quel feto incompiuto viveva una vita filtrata, ovattata, ma libera priva di ossessioni, di dolori. Forse la vita nel grembo materno era il momento più esaltante. La vita idilliaca del feto alla luce del sole avrebbe mostrato le sue crepe. Le fratture sottili della vita avrebbero portato sul suo finire al crollo totale dei valori, del corpo, dei sentimenti, alla esasperazione dell’anima stanca. Quel piccolo essere violava l’intimità di Manuela con la sua semplice presenza, con l’immagine di sé. Manuela seguiva scrupolosa la dieta, le direttive del medico di fiducia. L’evento generò una piccola apocalisse domestica. Giovanni rimase folgorato, incapace di rimanere a guardare. La sua rabbia, la sua accidia erano scomparse. Era un evento che scatenava il suo entusiasmo. Era lui che prima di addormentarsi dava l’ultima carezza al piccolo. Il suo sogno lontano e dimenticato, avvolto dalle brume della lontananza , quello di essere genitore, si avverava. Era inesperto, guardingo, ma desideroso di imparare il mestiere di padre. Seguiva l’istinto di padre con spavalderia. Accettava la sfida con un sorriso dolce negli occhi. Nel silenzio assoluto sentiva il piccolo agitarsi veloce, svelto e gli rivolgeva parole incomprensibili. Quel viaggio verso la paternità gli sembrava come un circuito di formula uno, emozionante, pauroso, misterioso. Il tempo passava inesorabile e si avvicinava a grandi passi il momento del parto. Una lontana nostalgia, complice la tristezza, gli faceva rivedere suo padre nella buia profondità dei suoi sogni. La sorte era stata poco tenera con lui. Con rabbia mista a dolore ricordava come suo padre avrebbe voluto vedere un nipotino. Manuela viveva quell’evento come un dono leggendario, favoloso. Per la strada adocchiava completini per neonati e li comprava senza badare a spese. Obiettava per i capi più costosi, per i camicini di seta. A una prima impressione suo marito sembrava pacificato, anche se con lei aveva sempre un riso forzato. Si illudeva di poter cambiare le cose, lui non aveva crisi di pentimento. La sua musica per fortuna le era vicina. Anche se capiva bene che l’arte, la musica non aprivano la sensibilità del marito. Aveva fiducia solo nelle sue possibilità. In fondo non aveva nulla da perdere, era una donna facoltosa che poteva permettersi il lusso di oziare nel mondo ardito dell’arte. Era temeraria, astuta, abile. La sua arte aveva un fine nobile. Se alcune volte la vita era pesante come una scure , umiliante, poteva smaltire la sbornia nell’eccitante mondo musicale. La musica era la nota positiva della sua vita. Solo la musica poteva beffare per alcuni istanti la morte. Nelle veglie notturne, dovute alla gravidanza avanzata, suonava e ascoltava musica. Con la forza impressa dalla musica avrebbe partorito con coraggio, senza fare drammi. Si era cimentata a capofitto in quella impresa e voleva far nascere quel figlio a tutti i costi. Suo figlio sarebbe stato un amante della vita, drogato dal sapore dolciastro della gioventù. La musica cullava il feto che vibrava nell’ascolto. Il giorno in cui le vennero le doglie fu condotta all’ospedale con una fiammante Mercedes dal colore chiaro . Manuela salì sull’auto con un largo sorriso stampato sul viso, nonostante i dolori delle doglie, e un’aria sprezzante. Nel suo mondo fatto di pizzi, ricami e gioielli c’era posto solo per l’indifferenza verso tutto il resto del mondo, verso gli indigenti . Giovanni nel gran giorno era esageratamente allegro, goffo e un po’ insicuro . La sua famiglia non era finita, non fuggiva via sulla strada del tempo . Aveva un erede, stava tramando alle spalle del destino. La maledizione non avrebbe colpito la sua discendenza. Molti sogni premonitori, anche se lui ci credeva poco, gli avevano indicato con segni precisi che era un maschio. Sarebbe stato un maschio energico, attivo. Si sarebbe laureato come lui, sarebbe stato arrogante, presuntuoso, ben voluto, apprezzato, competitivo, tagliente come una spada . Avrebbe amministrato il suo patrimonio. La stanchezza matrimoniale ormai non era più un problema. La puerpera ricevette la visita di molti conoscenti, regali, fiori e andò in brodo di giuggiole.
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